Benvenuto Matteo su Liberi di scrivere e grazie per avere accettato questa mia nuova intervista. Iniziamo con le presentazioni. Presentati ai nostri lettori. Chi è Matteo di Giulio?
Al momento uno scrittore. Sono stato impiegato, informatico, critico cinematografico. Ora, grazie a una serie di fortunate coincidenze, ho l’opportunità di occuparmi solo dei miei romanzi e voglio sfruttarla per trovare le mia strada nella narrativa. Nel tempo libero amo leggere e, come sempre, il cinema e le serie tv. Oltre a curare gli animali – cinque: due cani, due gatti, una tartaruga – che fanno parte della nostra famiglia. Amo viaggiare, purtroppo non riesco a farlo spesso quanto vorrei.
Hai iniziato scrivendo noir metropolitani, e sei passato, con successo devo dire, al romanzo storico. E’ appena uscito il tuo nuovo romanzo I delitti delle sette virtù edito con Sperling & Kupfer. Da poco ho fatto un’ intervista ad un altro autore italiano che ha fatto la tua stessa scelta. Come è maturata per te la decisione di cimentarti con questo genere?
È stata una sfida e una scommessa. Avevo in mente di puntare in una direzione diversa rispetto ai miei precedenti romanzi. Quei due romanzi mi hanno dato grandi soddisfazioni ma da qualche anno stavo cercando un’altra strada, sempre tinta di nero e di giallo. L’idea per il romanzo è venuta parlando di Savonarola con la mia compagna. Ho iniziato a studiare il personaggio e la trama, che parte da un fatto reale della sua biografia – la costruzione di un convento nel 1494 –, è venuta da sola. Dopo aver esaurito le prime ricerche ho cominciato a scrivere e avevo molti timori, perché il salto dal contemporaneo allo storico non è da poco: sono stato il primo a sorprendermi di quanto mi sia divertito. Più avanzavo con la storia e più mi sentivo coinvolto in prima persona.
Molti autori, anche non esordienti, si chiederanno come hai fatto a pubblicare con la Sperling. Sono curiosa anche io. Hai avuto l’appoggio di un agente? Come è andata?
L’editor del mio secondo romanzo, Andrea Scarabelli, ha lavorato per un periodo in Sperling. Essendo amici e parlando spesso dei nostri rispettivi progetti, gli ho accennato della mia idea e lui mi ha aiutato con molti utili consigli. Quindi mi sono messo sotto a lavorare e quando ho avuto una prima stesura, gliel’ho sottoposta. Lui ha pensato che in Sperling potessero essere interessati e così l’ha fatta leggere. Per fortuna il romanzo è piaciuto. Soltanto diversi mesi dopo aver raggiunto un accordo con Sperling, ho firmato con il mio attuale agente.
Quali pensi siano le insidie che nasconde questo genere letterario? Gli aspetti più complessi, se non proprio ostici, che hai incontrato e forse non ti aspettavi.
Evitare i clichè. È una norma di buon senso per qualsiasi tipo di narrazione di genere, ma nello storico lo è forse ancora di più. L’ostacolo più alto, per me, è stato trovare un equilibrio tra la mia esigenza di narrare una storia di finzione e calarla in un contesto storico verosimile, senza che quest’ultimo apparisse posticcio, o ancora peggio ostentato. Ho cercato di coniugare un ritmo rapido, molto moderno, con il rispetto per lo scenario e per tutti quei piccoli dettagli necessari a ricostruire ex novo un mondo tanto lontano.
Quando ho cominciato a pensare al progetto, avevo il grande timore delle ricerche, che sapevo non avrebbero potuto essere superficiali. Invece tornare a studiare, a tanti anni di distanza dal liceo e dall’università, non è stato così difficile: al contrario, anche la fase della “scoperta” delle fonti, dei personaggi, di tutto ciò che li circondava, si è rivelato interessante e stimolante.
Alfredo Colitto, Carlo A Martigli, Umberto Eco, penso che il suo Nome della Rosa abbia dato nuova linfa ad un genere, il romanzo storico investigativo, forse per lungo tempo trascurato dagli autori italiani. Ti senti debitore verso questi autori? In che misura ti hanno ispirato? E soprattutto pensi che ci sia un risveglio del thriller storico in Italia, prima che diventi una moda, come per esempio è successo per il noir?
Riflettevo qualche giorno fa su come il romanzo storico di genere si stia evolvendo. Una nuova ondata di scrittori si affaccia a questo tipo di storie, apportando ciascuno le proprie esperienze di precedenti e la propria sensibilità. Penso che Alfredo Colitto, con Cuore di ferro, abbia avuto il grande merito di aprire questa strada, dimostrando come si possa fare letteratura d’intrattenimento intelligente e appassionante. Aggiungo ai nomi che fai quello di Leonardo Gori, e tolgo invece quello di Eco, che per aspirazioni, provenienza accademica e intenti aveva in mente qualcosa di completamente diverso. Oggi ci sono ottimi narratori, come Alberto Custerlina, Mauro Marcialis o Marcello Simoni che riescono a trasmettere attraverso il passato emozioni forti ai lettori: ed è questo di cui ha bisogno di nutrirsi, secondo me, un mercato editoriale in crisi. Passione e concretezza.
Tornando al romanzo mi dicevi che I delitti delle sette virtù è il primo episodio di una trilogia. Come hai immaginato il piano completo dell’opera?
Il romanzo è nato da solo, come opera a sé. Dopo aver finito il lavoro di editing in Sperling, ed essermi calato ancora di più nei panni del mio protagonista, un ragazzo di nome Rafael dal passato misterioso, mi sono reso conto che la storia non aveva esaurito le sue potenzialità. Ho quindi cominciato a scrivere un seguito, che sto rifinendo proprio in questi giorni. E dopo aver scritto la parola fine a questo nuovo dattiloscritto mi sono di nuovo reso conto che la serialità in questo tipo di romanzo riesce ad aggiungere ulteriori livelli di lettura e di approfondimento, un po’ come accade nelle serie tv. Ogni romanzo equivale grossomodo a una stagione, ma mentre lo scrivi non sai se ce ne sarà una successiva. Ora penso a una trilogia, ma in realtà non c’è nulla di definito. A me piace molto, sotto questo punto di vista, il mondo dei fumetti o del fantasy, dove il concetto di continuity è portante, con seguiti, prequel, spin-off e saghe che si susseguono senza interruzioni. Il tipo di serialità che fa George Martin, poi, mi sembra la migliore possibile: non ha paura di uccidere i suoi personaggi principali, di farli soffrire, di farli sembrare vivi. Da lettore lo trovo un atto di grande rispetto nei miei confronti.
Il romanzo è ambientato nella Firenze medicea di fine Quattrocento. Come ti sei documentato, che testi ha consultato prevalentemente? So che hai fatto un capillare lavoro di ricerca nelle biblioteche.
Sono partito dal personaggio di Savonarola. Ho cercato in libreria, su internet e in biblioteca tutto il materiale possibile su di lui. Poi ho allargato il raggio della ricerca passando a saggi che si occupassero della quotidianità nel Medioevo, che era l’aspetto pratico più importante, per me, per creare un contesto credibile. Poi, gradualmente, ho letto saggi ambientati su Firenze nel Medioevo e nel Rinascimenti, altri saggi su Savonarola. I libri più interessanti sono quelli di Jacques Le Goff, uno storico che sa essere divulgativo senza essere mai noioso. Internet è servito infine per colmare molti dubbi: il Dizionario Biografico degli Italiani – Treccani, per esempio, mi ha fornito spunti sui personaggi storici dell’epoca.
Protagonista del romanzo è Rafael, un ragazzo proveniente dal Regno di Castiglia in cerca di vendetta. Parlaci di questo personaggio, come è nato, come si è sviluppato nel corso del romanzo?
Volevo un personaggio che si contrapponesse in modo forte a Girolamo Savonarola. Doveva quindi avere delle caratteristiche che lo “elevassero” sopra gli altri. Non volevo però il classico eroe perfetto e senza macchie. Rafael è caratterizzato da un passato misterioso, molto doloroso, perché ha perso i genitori su uno dei primi roghi dell’Inquisizione, a Burgos, nel Regno di Castiglia. È di origine mora: nel contrasto tra uno straniero musulmano e un fondamentalista cattolico ho trovato quel conflitto che cercavo. Sono stato costretto a farlo giovane: perché se i primi roghi sono del 1481 e lui era ancora un ragazzino, nel 1494, quando Savonarola ordina di costruire il suo convento, non poteva essere invecchiato troppo. Alla fine le tessere del mosaico si sono ricomposte quasi da sole, e Rafael ha preso vita. Sui vent’anni, carnagione olivastra, capelli neri, magro, solitario. Bravo con la spada ma con un grosso trauma che lo condiziona quando combatte; ed eccelle nella matematica e nell’astronomia, come la tradizione araba del periodo ci ha testimoniato.
Hai collocato nel romanzo un serial killer ante litteram, un assassino che lascia inchiodati ai corpi delle vittime delle pergamene in cui vengono citate le virtù teologali e cardinali. Un po’ ho pensato a Seven, film del 1995 diretto da David Fincher con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey. Da appassionato e esperto cinematografico, quali film ti hanno ispirato nella stesura del romanzo?
A dire il vero l’unica ispirazione forte che ho avuto, oltre a diversi romanzi di genere, è stata la serie Il trono di spade di George Martin, sia su carta che su schermo. Non a caso ho inserito qua e là delle citazioni e dei segni della mia stima. Martin riesce, inventando tutto, a essere più realistico di molti scrittori che si basano su fatti reali. La sua fanta-politica è credibile e attuale. Mi rendo conto che a volte il genere fantasy riesce a offrire, soprattutto nelle scene d’azione, degli spunti che il romanzo storico tout court, dovendosi adattare alla realtà dei fatti, non trasmette con la stessa intensità.
Stai lavorando all’editing del tuo nuovo romanzo. Vuoi anticiparci qualcosa?
Ci sarà un viaggio pericoloso da Firenze a Milano, e qui il protagonista sarà vittima di una sorta di complotto politico. Sarà un rapimento il motore iniziale dell’azione. Ci saranno ancora più morti del primo romanzo, dove già il conto degli omicidi era elevato, e avrà una trama complessa basata su tre intrecci – quello principale ambientato sette anni dopo I delitti delle sette virtù, nel 1501; quelli secondari nella prima metà del ‘400 e nel 1472 – che si intersecano. Avrà un ruolo molto importante, nella storia, uno dei grandi libri misteriosi, il cosiddetto manoscritto Voynich, tutt’ora indecifrato nonostante teorie e tentativi d’ogni genere. Di più non posso dire, se no svelo troppo.
L’intervista è finita, nel ringraziarti ancora della disponibilità mi piacerebbe sapere se hai altri progetti in cantiere, non solo letterari.
Ho altri progetti letterari, come ti dicevo voglio continuare a cercare la mia strada. Ho in mente un nuovo romanzo di questa serie e, più avanti, un prequel con protagonista il padre di Rafael, ambientato tra l’Africa e Palermo nel 1457. E poi una serie di romanzi d’avventura, ma stavolta per ragazzi delle scuole medie: e questa, se ci riuscirò, credo che sarà per me la sfida più difficile.
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