A proposito dell’ arte del racconto Flannery O’Connor scrisse nei testi delle sue conferenze sulla scrittura che il significato e’ ciò che impedisce al racconto di essere breve, pur nella sua brevità. E che un racconto può dirsi riuscito se puoi sempre vederci qualcosa di più, se continua a sfuggirti di mano[1]. A dire il vero a me ancora sfugge il motivo per cui un racconto possa dirsi riuscito, a meno che non ci si limiti ad un parere meramente edonistico, al piacere della lettura. Un racconto può essere tecnicamente perfetto, grammaticamente ineccepibile e non trasmetterti niente, al contrario un racconto ricco di difetti può miracolosamente renderti felice di averlo letto.
Presumo che molta dipenda anche dallo stato d’animo del lettore, dalle sue letture pregresse, dalle sue aspettative e necessità. Ciò che alcuni giudicano noioso può essere visto da altri come geniale o per lo meno interessante. Stesso principio che ci guida quando per esempio affrontiamo le opere di uno scrittore come David Foster Wallace, che anche egli si cimentò nel scrivere racconti e vi consiglio di partire da questi se per la prima volta vi avvicinate a questo scrittore.
Tutto questo preambolo per dire che amo il racconto e il suo essere sfuggente. Ne ho scritti anche io e forse mi hanno più emozionato di scritti più lunghi. Recensire un libro di racconti non è un’impresa facile, non dico che sia come recensire componimenti poetici, lì ancora non mi reputo capace di inoltrarmi, ma devo dire che tra racconti brevi e poesia c’è sicuramente un rapporto di fratellanza.
Ho letto “E’ tempo sprecato uccidere i morti” di Diego Di Dio edito da un piccolo editore romano, Dunwich Edizioni, e naturalmente sono partita dalla prefazione di Barbara Baraldi e subito dopo dalla postfazione di Andrea Carlo Cappi, che un attimo mi ha fatto sobbalzare perché sembrava canzonare il lettore intento a fare proprio quello che io stessa stavo facendo. Finge di dirci il nome di un colpevole di un racconto, per punirci della troppa curiosità. Ma che devo dire, io amo molto gli aneddoti collegati ad un’ opera e vorrei che tutti gli scrittori di racconti facessero come Isaac Asimov.
Iniziamo dal titolo, E’ tempo sprecato uccidere i morti, citazione tratta dal fumetto di Dylan Dog “Oltre la morte”, come apprendo in epigrafe, che ci pone subito di fronte il genere che andremo ad affrontare, quella specie di thriller horror che sceglie di norma opere più a lungo respiro per esprimersi. E da qui già emerge una certa incoscienza o se vogliamo chiamiamola coraggio dell’autore procidano, classe 1985. In tutto sono 12 racconti, di cui due già li conoscevo La schiava e l’imperatore e Il ragazzo che sconfisse i lupi, ma non chiedetemi in che tempo e luogo li ho letti, quello che è certo è che mi hanno dato un piacevole senso di dejavu che non guasta, quando ci si vuole immergere in un certo tipo di atmosfera.
Apre la raccolta La signora, racconto con cui Di Dio ha vinto il premio Mario Casacci (Orme Gialle) 2011. Racconto noir ambientato a Procida che ha per protagonista una donna di mafia, di camorra per meglio dire, Donna Teresa, impegnata nelle sue lotte di potere, nelle sue vendette. Racconto asciutto, asciugato di ogni ornamento superfluo e spruzzato di dialetto, come molti altri racconti dell’autore.
Poi continua con La schiava e l’imperatore, un racconto sulla libertà e sulle sue molteplici forme per conquistarla. Si passa quindi al più surreale
Il delirio di un impiegato, racconto frammentario come i mille volti della follia, ispirato all’album Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè.
Cose liquide invece ci narra in prima persona un atto involontario di amore che diventa morte, racconto brevissimo, due pagine e mezzo scarse, quasi un frammento.
Più complesso e tradizionale se vogliamo Ricordati questo giorno, altro racconto procidano, su quanto sia importante fare la cosa giusta.
Poi segue Io non ti perdono, altro racconto brevissimo, su una vendetta, sulle ultime parole, quasi prive di senso, forse inutili, che si dicono a qualcuno che intendi uccidere.
Il Coltellaio, racconto vincitore della cinquantesima edizione del Nero Premio, è se vogliamo più macabro e tendente all’horror, con echi granguignoleschi, evocati in modo indiretto, specie quando al moglie dice: “vado a prendere il secondo”.
Seguono i brevissimi Il ragazzo che sconfisse i lupi, e La signora dei maiali.
Più complesso Lasciatemi dormire.
Poi il brevissimo Mia madre, e per terminare Il supereroe, racconto diviso in 10 capitoli, forse il più compiuto ed espressivamente maturo. Se amate i racconti, concedete una possibilità a questo giovane autore. Saprà sorprendervi.
Diego Di Dio è nato a Procida, isola dove vive, nel 1985. Ha pubblicato una trentina di racconti che spaziano dal noi all’horror. Nel 2012 il suo racconto I dodici apostoli è comparso in appendice di un classico del Giallo Mondadori. Ha pubblicato saggi su Stephen King, Thomas Harris, Sergio Bonelli, su riviste di settore.
[1] O’Connor Flannery, ‘Nel territorio del diavolo – sul mistero di scrivere’, Minimum fax, 2003
30 ottobre 2013 alle 17:48 |
Bella copertina.