Traduzione di Alice Parmeggiani
“Nessuno mai ve lo insegna. La fragilità del desiderio […] Nessuno me lo ha detto, veramente. Assieme ai consigli sulla dieta, alla lista dei medicinali, avrebbero dovuto dirmi anche questo: – Da adesso, tu sei sua madre, e non la sua amante. Lo amerai di più, ti preoccuperai per lui molto di più, ma lo desidererai di meno -. Nessuno ve lo dice. Tutti vi parlano solo di una sana nutrizione e della necessità di camminare”.
I racconti della scrittrice serba Jelena Lengold ci parlano di partenze e di mancati ritorni, di perdite e di vuoti a perdere, di incontri fugaci e di desideri scomparsi.
I personaggi, spesso protagonisti senza nome di queste pagine, si fanno flusso di pensieri, osservatori inermi, vite impigliate come pesci stanchi nella rete del destino.
In una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione, tra sogno e visione, le storie narrate prendono forma lentamente, conducendo il lettore in un percorso di scoperte inaspettate, raggiungendo con le parole gli strati più profondi dell’essere.
La Lengold si rivolge all’animo umano con spietata sincerità, non lasciando nulla di intentato nell’opera di rivelazione dei ruoli e delle dinamiche dei rapporti tra le persone. Ciò che ne discende è un ritratto crudo ma veritiero della fine dei legami e degli amori, del disperato e pietoso attaccamento ai gesti indifferenti dell’amato, della riduttiva e misera considerazione delle relazioni da parte degli individui.
“Certi amori finiscono proprio così, in modo meschino e senza senso. Quando meno ve lo aspettate. O l’errore è proprio nel fatto che ve l’aspettate. Gli esiti negativi bisognerebbe aspettarseli sempre. Solo, come può vivere uno che si aspetta sempre un esito negativo?”.
L’analisi della scrittrice si spinge fino a descrivere il malsano rapporto di forza tra donna e uomo, spesso ridotto ad un’amara resa della prima alla meschinità del secondo, superficiale nei suoi giudizi e nelle sue scelte, prestigiatore dei sentimenti, mago delle parole e argonauta in fuga. Alla Medea abbandonata non rimane che scrivere lettere immaginarie, che non arriveranno mai a destinazione.
“E ora eccomi qui, richiudo l’asse da stiro e sono un po’ senza respiro. Il mio respiro se ne è andato da qualche parte dentro di lui, nella ridicola convinzione che quell’uomo sarebbe stato sempre qui, vicinissimo, e che ogni volta che fosse stato necessario mi sarei potuta avvicinare a lui e inspirare quel tanto che mi serviva”.
Poi esiste anche il destino del ritorno, delle parole di chiarimento, del ritrovarsi, come accade spesso nella letteratura ma un po’ meno nella vita.
La scrittura della Lengold cattura sin dalle prime pagine: è schietta, scandita dalla forza dei pensieri che scorrono veloci lungo i binari della narrazione, senza cedimenti.
“Perché là, fuori da questa recinzione, esiste tutta una vita che si deve esplorare. Annusare. Mordere. Graffiare. Perché ogni gatti ha diritto alle sue ferite e ai suoi vagabondaggi. E se non ti rassegni a questo, allora è meglio che tu non tenti nemmeno di amare qualcuno. Mai”.
Con Il mago della fiera l’autrice serba ha ottenuto nel 2011 l’European Union Prize for Literature.
Consigliatissimo.
Jelena Lengold (1959) occupa da vent’anni un ruolo unico nella letteratura serba contemporanea. Dopo diverse raccolte di poesia si dedica alla narrativa con il romanzo Baltimor (2003) e quattro volumi di racconti. Ha lavorato per dieci anni nella sezione culturale di Radio Beograd e si è inoltre occupata di diritti umani e risoluzione pacifica dei conflitti per conto dell’Accademia norvegese per le scienze umane. In Italia il suo racconto L’ascensore è stato pubblicato in Casablanca serba: racconti da Belgrado (Feltrinelli, 2003). Scrive e vive a Belgrado.
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