:: Antologia NeroNovecento Intervista Collettiva – Seconda Parte

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neronovecentoSeconda Parte

  •  Anni 50

Benvenuto Giulio Leoni. Sei un autore di romanzi storici molto conosciuto. Hai pubblicato con importanti editori. Per chi ancora non ti conoscesse, raccontaci qualcosa di te.

Scrivo da parecchi anni, praticamente da sempre se ci mettiamo anche gli scritti non di carattere narrativo. Sono un appassionato di storie, chiunque mi racconti qualcosa, e più insolita la narrazione meglio è, diviene immediatamente mio amico. In parallelo mi piace anche raccontarne a mia volta, e sarei un magnifico intrattenitore in qualsiasi circolo della caccia, quanto a spararne grosse.  Racconto un po’ di tutto, vicende ambientate nel passato o ai nostri giorni. Oppure nel futuro, storie violente e dolci, allegre o tristi. Se mi viene in mente una storia, e mi piace, prima o poi trovo la maniera di raccontarla a qualcun altro, magari a tradimento, infilandola in un’intervista come questa. A proposito, adesso che ci penso, alcuni giorni fa ho trovato in un cassetto della scrivania appartenuta a mio padre un orologio inglese. Lui era stato ufficiale in Libia, durante la Seconda Guerra mondiale, e un giorno…

Hai ambientato il tuo racconto negli anni Cinquanta. Come si intitola e perché hai scelto il naufragio del transatlantico Andrea Doria, avvenuto il 25 luglio del 1956, come fonte di ispirazione?

Il naufragio dell’Andrea Doria è uno dei miei primissimi ricordi infantili. In quell’estate abitavo nella casa di famiglia, a corso Vittorio a Roma, e sentii la sera le voci degli strilloni che gridavano dalla strada i titoli dell’edizione straordinaria. Allora non capii naturalmente di che cosa potesse trattarsi, solo percepivo l’aria di eccitazione dei miei familiari per qualcosa di straordinario. Poi in seguito mi sono periodicamente interessato alla vicenda, anche per aver conosciuto personalmente uno dei passeggeri di quella traversata, una signora ormai in età ma che ancora conservava vivi i ricordi di quella notte. Avevo in mente da tempo di occuparmene, o in forma di romanzo o altro, ma poi Venne il Titanic di Cameron e non mi parve più il caso di zappare nello stesso orto. Però l’idea mi era restata, e quando ho saputo da Daniele che per l’antologia erano liberi gli anni Cinquanta ho ripensato a quella bella nave, alla signora che avevo conosciuto e alle storie dei passeggeri che mi aveva raccontato, Perché le navi possono affondare, ma le storie no!

Molti tuoi lettori saranno stupiti da questa tua scelta noir.

I miei lettori sono abituati alle mie giravolte, spero che mi perdoneranno!

  • Anni 60

 Ciao Claudio, benvenuto. Presentati ai nostri lettori. Raccontaci qualcosa di te. Chi è Claudio Asciuti?

Innanzi tutto grazie dell’invito e buongiorno a tutti. Claudio Asciuti? E’ uno che scrive senza cedere a priori ai compromessi necessari a pubblicare quel che scrive, e di conseguenza scrive molto e pubblica pochissimo. Non più di un paio di giorni addietro una casa editrice ha rifiutato un mio romanzo breve per questioni stilistiche… pare che scriva in modo che i lettori non capiscano. Avrei potuto cedere a posteriori al compromesso e scrivere diversamente il romanzo. Ma come insegna Jünger, la libertà è il modo di essere dell’ anarca…

Sei l’autore di Amesha Spenta, racconto ambientato negli anni Sessanta. Servizi e strategia della tensione. Ce ne vuoi parlare? E cosa significa il titolo?

Amesha Spenta è un termine che nasce nella cultura iranica preislamica, e indica gli “Immortali benefici”, i sei spiriti buoni che il dio Ahura Mazda creò per aiutare l’uomo a combattere il male, personificazioni di precetti del buon comportamento, attestati nel libro sacro dell’Avesta, intorno al mille a.e.v. Siamo nel mondo indoariano e le forze che si agitano sono quelle  politeiste di indiani e greci, lontane dal monoteismo semitico e dalla riduzione manichea del pensiero zarathustriana che la vulgata propone; così come i miei anni Sessanta sono lontani  dagli “opposti estremismi” che tanto fecero (e fanno comodo) ancor oggi. Nome speciale per un gruppo speciale, quindi, adatto a mettere in discussione due abusati cliché: i Servizi Segreti come eterni cattivi della situazione, e il noir come la nuova frontiera della critica sociale, strumento di interpretazione della realtà materiale, politica ed economica. Rovesciamo i problemi: se esistessero anche i Servizi Segreti buoni, impegnati a mantenere non lo status quo a suon di bombe, ma il fronte rivoluzionario in una posizione terzista a suon di operazioni coperte? Intendendo con il sintagma “fronte rivoluzionario” non i tristi o buffoneschi  politici odierni, ma i rivoluzionari veri…  E se invece il noir anziché essere quello strumento su cui critici e improvvisati amano discettare, affondasse non nel mondo sensibile le sue radici, ma in quello intellegibile, e quel che accade ora qui non fosse altro che la dimensione quotidiana e fisica di uno scontro più grande e metafisico?

Raccontaci cos’è il noir per te e perché il Novecento è un secolo così ricco di ispirazione, di scenari, di suggestioni?

Il noir è un genere che mescola  elementi di quel che definiamo “giallo”, ad esempio la sua geometrica e  spinoziana determinazione che cerca di (ri)portare l’ordine in un cosmo in cui l’ordine non esiste, con altri temi, l’indeterminazione totale, lo spiazzamento del lettore di fronte all’ ambiguità morale, un mondo in cui i conti non tornano mai, la melanconia dell’individuo e la sua solitudine; ed è proprio per questo motivo preferibile al giallo, tutto sommato consolatorio… oppure potrei risponderti con i versi di Leonard Cohen, che sto ascoltando in questo momento: ho preso l’oscurità/ bevendo dalla tua tazza/ ho chiesto: è contagioso? Hai detto, bevi e basta. Ecco una buona definizione di noir: prendere, afferrare l’oscurità, tema che fu del grande Cornel Woolrich, il vero archetipo del noir. Il Novecento si presta bene ad essere noir, perché è un secolo entrato nel mito, più che nella storia, e come tutto ciò che entra nel mito è astorico e atemporale. Il bello e il significativo si sono fermati alla soglia degli anni Settanta, come avessero timore di uscir fuori dall’alveo sanguinoso dei lasciti del dopoguerra; qualcuno o qualcosa ha proseguito fino a metà Ottanta, ma con gran fatica… Se vogliamo parlare di oggi, dobbiamo per forza tornare al passato; parlare dell’oggi è banale, è triste, è ripetitivo e diciamocelo, perfettamente inutile. Pensiamo alla serie di topoi che costellano la narrativa odierna: il commissario di quasi sinistra, sfigato e un po’ gourmet, il mafioso sempre presente buono per tutte le stagioni, il buon extracomunitario e la sua lagnosa condizione di immigrato, il lamento del precario che si è scoperto tale un po’ in ritardo, il call center come metafora della condizione schiavistica, il detective un tempo extraparlamentare di sinistra, la storia d’amore che sembra uno sceneggiato televisivo ma meno intelligente di uno sceneggiato televisivo, il romanzo di formazione in cui tutti si accoppiano con tutti, anche contra naturam, usano sostanze psicoattive  legali e illegali, propugnano valori che immaginano trasgressivi, ma nutrono in realtà ambizioni catodiche e vorrebbero andare in tv, e visto che non ci riescono si piazzano di fronte alla medesima e guardano la partita o il programma scemo di turno… oppure l’ambientazione di luoghi fatiscenti e sconclusionati, proletariati urbani e suburbani che avrebbero fatto impallidire Pasolini, computer e cellulari e giochi elettronici non più oggetti del desiderio ma enti desideranti e affamati di uomini robotizzati, una critica sociale che vorrebbe esser rivoluzionaria ma che è solo partitica e a senso unico non alternato…  è un orrore, una malabolgia, l’inferno a rovescio, il festival del kitsch, un oltraggio, la poetica del degrado e della sfiga… come puoi scrivere un noir guardando questi temi e il mondo “reale” in cui la soubrette o il delinquente diventano politici, l’ analfabeta maestro di pensiero, il cafone  elegantiae arbiter… mentre l’onesto padre passa per idiota perché non è un ladro e ai consigli della buona madre di famiglia si preferisce il credo morale della signorina di poca (e rivendicata in quanto poca) virtù, tale da spianarti la carriera? E’ ridicolo… l’ispirazione ti scappa via immediata, anche nel caso ti venga a visitare, dal momento che le Muse rifiutano il banale. A questo punto, ti piaccia o no Neronovecento, quando lo leggi è come respirare aria montana dopo le polveri sottili; perché quel mondo di quel secolo, buono o cattivo che fosse, era abitato da eroi e delinquenti, modellato su valori e disvalori, su credi anche infami e su fedi anche impure, ma almeno era tutto vero…  da allora, come direbbe lo scriba del caos, il mondo divenne favola…

  • Anni 70

Ciao Adele, benvenuta. Presentati ai nostri lettori. Raccontaci qualcosa di te. Chi è Adele Marini?

Lieta di essere con voi!
Sono una  giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria. Ho lavorato per moltissimi anni a Stop e a Intimità, gli storici settimanali fondati da Cino del Duca. Inoltre ha collaborato  con le redazioni di diversi  quotidiani fra cui La Notte e L’Unità.
Per non lasciarmi mancare nulla, da tempo scrivo romanzi del genere ‘non fiction novel’, cioè fondati su episodi della nostra storia recente. Nel 1994 è uscito il mio primo romanzo-dossier Il consulente (scritto con l’ispettore capo della polizia di Stato Alberto Sala). Il libro, oggi irreperibile,  tratta di riciclaggio, di agenti sotto copertura e di tangenti.
Con il secondo noir ‘non fiction’ Milano, solo andata ( Frilli editori, 2005), pubblicato  in Germania col titolo Denn dein ist die Schuld (Goldmann 2007), ho vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli al romanzo poliziesco.
Nel 2007, sempre con l’editore Frilli, ho pubblicato Naviglio blues  tradotto in tedesco col titolo Denn nichts ist je vergessen (Goldmann, 2008).
Nel 2009  ho partecipato all’antologia Alle signore piace il neroStorie di delitti, crimini e misfatti (Sperling & Kupfer) con il racconto La testa altrove  e un anno dopo ho pubblicato nell’antologia a scopo benefico Sorrisi di gatto (Pa.Gi.Ne. edizioni)  il racconto L’ultima vendetta.
Infine, per l’antologia Delitti di acqua dolce  (a cura di Ambretta Sampietro e Luigi Pachi – Lampi di Stampa editore)  il racconto L’uomo delle correnti.
 In formato digitale (eBook ), per  Milanonera edizioni,  ho pubblicato I fondamentali della scrittura d’indagine e Arriva la Scientifica : due saggi dedicati alle procedure investigative e giudiziarie.
A novembre sarò di nuovo in libreria con il non fiction novel ‘Ndrangheta’ (Fratelli frilli editori): un romanzo dossier dedicato all’infiltrazione delle cosche a Milano e nelle regioni del Nord.
Quando non scrivo leggo e mi dedico al mio zoo personale: due gatti certosini nerboruti e aggressivi ma con me dolcissimi: Ely e Pipino,  un cane grande come un pony di razza briard  di nome Trudi e la trovatella Hera . Ai quattro pelosi  va aggiunta la pennuta Ninetta, un merlo indiano che non smette un minuto di chiacchierare.
Ho un marito molto paziente di nome Lionello e un figlio: Andrea che, essendo medico,  mi fa da consulente per gli aspetti medico scientifici dei mie lavori .
Vivo a Milano in una zona semiperiferica ma letteralmente sepolta nel verde. Una grande fortuna che non mi fa rimpiangere l’azzurro e i silenzi del bellissimo lago Sebino in riva al quale sono nata.

Sei l’autrice di L’ultimo scatto, racconto ambientato nell’Italia degli anni Settanta. Ce ne vuoi parlare?

Ho vissuto in prima persona quei momenti e ringrazio di cuore l’amico Daniele Cambiaso per avermi offerto l’opportunità di raccontare un piccolo frammento di quella grande tragedia che fu la strategia della tensione.  Fra i tanti episodi neri, ho scelto quello della bomba alla questura di Milano. Una strage considerata a torto ‘minore’ e trascurata dai media che, in realtà, fu molto significativa perché preluse a ciò che avvenne in seguito e fu una sorta di ‘prova generale’ dell’assassinio di Aldo Moro. Infatti, il vero obiettivo dei terroristi neri manovrati da burattinai molto in alto: i cosiddetti poteri forti extranazionali, fautori della ‘guerra a bassa intensità’,  era il ministro degli Interni Mariano Rumor. Se la bomba ‘ananas’ avesse centrato il bersaglio e fosse esplosa dentro il cortile della questura com’era stato deciso, invece di deflagrare contro il muro, avrebbe fatto una carneficina e la nostra storia con ogni probabilità avrebbe cambiato repentinamente il suo corso. Tutto era pronto per imporre una svolta autoritaria sul modello greco.

Le donne è il noir. Da donna come ti avvicini a questo genere?

Per me è stato naturale cimentarmi nel noir. Anni di cronaca nera e giudiziaria mi hanno fatto acquisire la professionalità indispensabile per affrontare un genere oggi molto praticato ma per nulla facile. Il fatto che io sia donna non significa nulla. Ho visto cadaveri all’obitorio, ho seguito processi, ho ripercorso  indagini insieme con fotoreporter di valore imparando a destreggiarmi nel labirinto delle procedure giudiziarie né più né meno dei colleghi maschi. Ad aiutarmi è stato il  periodo in cui sono stata accreditata presso la sala stampa della Questura di Milano: un’esperienza che mi ha permesso di apprendere le notizie e seguire le indagini in tempo reale. Oggi sono in pensione ma continuo a collaborare alle testate giornalistiche on line Milanonera web press e Misteri d’Italia, oltre a scrivere libri.
Sono sempre riuscita a ottenere contratti onorevoli dagli editori che mi hanno pubblicato e buone risposte dal pubblico.  Il mio piccolo segreto? Leggere, leggere, leggere. Poi, prestare attenzione a tutto quello che accade e, soprattutto, non lesinare tempo e fatica all’immenso lavoro di ricerca. Per scrivere L’ultimo scatto ho consultato gli atti dei processi e le sentenze oltre a numerosi saggi dedicati alle stragi e agli anni di piombo. Questo perché sono abituata da sempre a sentirmi responsabile di ogni parola che metto sulla carta. Non sempre riesco a essere obiettiva ma certamente faccio del mio meglio per  riferire i fatti nella loro completezza.

  • Anni 80

Ciao Vindice, benvenuto. Raccontaci qualcosa di te, presentati ai nostri lettori. Chi è Vindice Lecis?

Giornalista da più di tre decenni, sempre all’interno dei giornali locali del Gruppo Espresso, una scuola di realismo e di conoscenza dei vari territori. Attualmente lavoro nell’Agenzia giornali locali del Gruppo. Sardo e italiano, convinto che la Sardegna abbia molte storie da raccontare e non solo folclore da esibire. Storie e personaggi , grandi e meno grandi, che hanno avuto e hanno un ruolo nelle vicende nazionali.

Sei l’autore di L’attentato che non ci fu, racconto ambientato negli anni Ottanta. Un funzionario comunista in pensione indaga su un incidente d’auto di cui fu vittima Berlinguer in Bulgaria. Ce ne vuoi parlare?

Uno di questi personaggi è proprio Antonio Sanna, funzionario del Pci. O meglio esponente del riservatissimo Ufficio Quadri che all’epoca del racconto, il 1984, già non esisteva più da molti anni. Questo Sanna, personaggio stropicciato ma deciso, deve indagare sull’attentato a Berlinguer – suo concittadino – avvenuto nel 1973 in Bulgaria. Quell’attentato è avvenuto ma non ne è rimasta traccia. Perché? Chi lo ideato? Ha qualcosa a che vedere con il fastidio dell’Urss verso l’autonomia di Berlinguer e della sua Terza via tra socialismo reale e socialdemocrazia? Sanna indaga in quella direzione. Ma in quel 1984 accadono altre cose, tutte drammatiche anche se di diverso segno.

Raccontaci cos’è il noir per te e perché hai scelto di partecipare a questa antologia.

Il noir non so come incasellarlo e nemmeno interpretarlo. A dire il vero leggo pochi noir, spesso inflazionati da rampanti da best seller  dove dietro il bello stile c’è il nulla per paura di una contaminazione con le cose veramente nere. Il romanzo storico ne è comunque una variante. D’altra parte il Novecento con le sue tragedie e le sue passioni si presta come ribalta. L’attrazione sta tutta nel capire perché la democrazia ha sempre un suo lato oscuro, un cuore di tenebra. Cimentiamoci con questo, altro che storielle.

  • Anni 90

Ciao Giorgio, benvenuto. Presentati ai nostri lettori. Chi è Giorgio Merega?   

 Biologo, ho lavorato nel campo delle biotecnologie vegetali fino alla metà degli anni Novanta. Attualmente insegno scienze naturali e organizzo corsi di introduzione alla lingua giapponese. Sono cresciuto a Roma tra i primi anni sessanta e metà degli anni settanta. Fin da bambino, avido consumatore di cronaca nera sui quotidiani. Chissà se questo mi avrà in qualche modo influenzato….

Il tuo racconto, ambientato negli anni Novanta, chiude virtualmente l’antologia. Si intitola Il sogno. Ce ne vuoi parlare?

Gli anni Novanta sono stati un periodo di grandi cambiamenti nella società italiana. Crollano i tradizionali punti di riferimento, si manifestano le prime crepe nel sistema politico, si assiste  a un profondo mutamento etnico e culturale. Questo, in estrema sintesi, lo sfondo sul quale collocare il mio racconto. Ho deciso di  ambientarlo a Genova, città in cui risiedo, per due motivi. Il primo di ordine pratico, cioè potere ricostruire le atmosfere a partire dai miei ricordi di quegli anni. Il secondo è che Genova –  negli stessi anni oggetto di una profonda ristrutturazione urbana – mi sembrava la metafora perfetta delle contraddizioni legate al processo di trasformazione in atto nel paese.
Il sogno cui fa riferimento il titolo è da intendersi soprattutto come illusione: illusione di rinascita per una città in grande affanno; illusione di un futuro migliore per i nuovi migranti. Questo è la realtà nella quale  vive e lavora  il commissario Leone, un uomo che invece ha smesso di illudersi e con occhio disincantato osserva il mondo che si trasforma. Il poliziotto deve indagare sulla morte per cause naturali di un senzatetto indiano. Semplice routine, in apparenza. Ma ben presto iniziano a mostrarsi inattese complicazioni….

Infine un commento sul Noir e il suo legame con il Novecento. Una tua riflessione, un’ ipotesi interpretativa.

Il noir è il genere novecentesco per eccellenza. La stessa antologia lo dimostra, attraverso dieci storie ognuna delle quali caratterizza  con efficacia il decennio trattato. E’ un genere che pur nell’ invenzione dell’autore si nutre avidamente di realtà. E quella del secolo scorso, con le sue ferocie, le sue contraddizioni e le sue trasformazioni è  una realtà assai ricca.  Ovviamente non si tratta di fare sociologia, ma di costruire atmosfere che facciano da sfondo alla storia raccontata. Storia che viene mostrata per quella che è, senza velleità  di redenzione o anelito di giustizia. Il noir è un genere non consolatorio, dove manca una vera lotta tra bene e male, perché i due aspetti sono spesso confusi e mescolati nelle persone come negli eventi, come il Novecento ci ha spesso mostrato.

Concludo questa intervista monstre ringraziando tutti gli autori e Daniele Cambiaso, curatore dell’antologia Neronovecento, che si è prestato a farmi da tramite con ognuno di loro. L’ultima domanda e rivolta a lui.  Come è stato fare il curatore di questa antologia?  Come hai scelto i racconti? C’è un filo conduttore che li accomuna? E infine vorrei chiederti qual è il tuo punto di vista sulle potenzialità del noir come nuovo romanzo sociale?

Il progetto alla base di “NeroNovecento”, per me, ha costituito prima di tutto una sfida avvincente ed è stata un’esperienza straordinaria. L’idea di catturare l’anima noir di un secolo complesso come quello scorso rappresenta, per me, un po’ il punto di arrivo di un progetto letterario più ampio che ho sviluppato nel corso degli anni con altre antologie. Mi riferisco a “Crimini di regime” e “Crimini di piombo” pubblicate da Laurum e dedicate al periodo fascista e ai cosiddetti “anni di piombo”. Con “NeroNovecento” si abbraccia tutto il secolo e, in qualche modo, si chiude il discorso.
Il filo conduttore, a mio avviso, è rappresentato proprio dalla capacità di ogni racconto di essere un’istantanea capace di fissare non solo una vicenda criminale, ma anche un aspetto socio – culturale del decennio in cui viene ambientato. Stabilite queste coordinate, nella fase di preparazione dell’antologia occorreva creare una squadra in grado di conseguire l’obiettivo. Prima di tutto, doveva trattarsi di autori interessati al progetto di una piccola casa editrice, seria e con ambizioni di crescita, ma pur sempre in fase di decollo. Non tutti amano questo tipo di scommesse e io sono profondamente grato, a livello personale e fuori di retorica, a tutti gli autori che mi hanno permesso di realizzare questa idea.
Inoltre, dovevano essere scrittori desiderosi di approfondire i vari decenni che venivano loro proposti. Occorreva misurarsi con la Storia con l’iniziale maiuscola, padroneggiarla in modo tale da non farne un fondale posticcio da appiccicare a un racconto, ma impastarla con la vicenda noir, renderla protagonista alla pari dei personaggi letterari. Aspetto per niente facile. Devo dire, quindi, che sono molto orgoglioso del “team” che ho raccolto e dei risultati ottenuti. Si tratta di un mix interessante di autori affermati ed emergenti, accomunati tutti da  qualità di scrittura davvero notevole. E quest’ultima, credo sia proprio una delle caratteristiche che il lettore potrà maggiormente apprezzare in questa antologia.
Per quanto concerne le potenzialità “sociali” del noir, credo che in questi ultimi decenni il giallo e il noir abbiano in parte colmato una lacuna lasciata dalla crisi, o quanto meno dall’appannamento, del romanzo storico e del giornalismo di inchiesta. Credo, quindi, che ci siano delle potenzialità davvero interessanti, esplorate in buona parte, ma occorre fare attenzione a non gravare la letteratura di tensione di responsabilità che potrebbero eccedere le sue effettive capacità e forzarne la natura. Si tratta pur sempre, ritengo, di un intrattenimento, che indubbiamente può essere “intelligente”, a volte anche “intelligentissimo”, e aprire prospettive di riflessione al lettore. Attenzione, però, a non delegare l’inchiesta sociale solo ed esclusivamente al noir, altrimenti se ne decreterà la crisi. Lasciamogli semplicemente fare quelle “domande cattive” che tanto piacciono a Carlo Lucarelli. Peraltro, quello della crisi mi sembra un rischio remoto: direi che il genere goda di eccellente salute e “NeroNovecento”, se servisse, viene a confermarlo.

2 Risposte to “:: Antologia NeroNovecento Intervista Collettiva – Seconda Parte”

  1. Avatar di davide ferrari davide ferrari Says:

    molto interessante. gli anni che anch’io ho vissuto sono descritti con sintetica lucidità dagli intervistati; e non ho certo motivo di dubitare che valga per il restante novecento. grazie della interessante intervista e segnalazione.

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