:: Antologia NeroNovecento Intervista Collettiva – Prima Parte

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neronovecentoIn occasione dell’uscita dell’antologia noir NeroNovecento, edita da Cordero Edizioni, noi di Liberi di Scrivere abbiamo avuto l’idea piuttosto folle di intervistare tutti gli autori che l’hanno scritta. E grazie a Daniele Cambiaso, e alla disponibilità di tutti gli scrittori, ce l’abbiamo fatta. Sarà divisa in due parti, data la lunghezza, e in rigoroso ordine cronologico. Buona lettura!

Prima Parte

  • Anni 00

Ciao Stefano, benvenuto. Presentati ai nostri lettori. Raccontaci qualcosa di te. Chi è Stefano Mantero?

Sono un uomo di cinquant’anni innamorato della lettura, in particolare dei romanzi noir. Ho collaborato per molti anni con diversi quotidiani genovesi: Il Lavoro, Il secolo XIX e la Repubblica e questo costante esercizio di scrittura mi ha spinto a provare a raccontare qualche storia anche io. L’ho fatto pubblicando un volume di racconti e partecipando a diverse raccolte di racconti come Nero Novecento.

Sei l’autore del racconto Il sogno di Anna che idealmente apre la raccolta. E’ ambientato infatti nei primi anni del XX. Parlaci un po’ di come è nato, dove è ambientato, quali sono i personaggi principali?

Il mio racconto è nato da una serata con due amici, Margherita e Fulvio, trascorsa ad ascoltarli parlare della loro passione e professione, la fotografia.
Io cono cieco e poter parlare di immagini con persone che curano i particolari di uno scatto, luce, esposizione, colore, il gioco delle ombre, ecc… E’ qualcosa che stuzzica terribilmente il mio interesse. In quel momento mi è venuta la voglia di scrivere sulla fotografia, meglio sulle tecniche fotografiche. Successivamente ho pensato che sarebbe stato ancora più interessante parlare degli albori della fotografia e quindi dei primi del Novecento.
Poi il mio legame con il mare mi ha spinto ad ambientare la storia su una nave, e visto che si tratta dei primi del secolo scorso, su di un vapore carico di migranti e di pochi fortunati che abitano la prima classe. Da li in poi ogni tassello si è composto autonomamente e non sono stato più io a raccontare la storia ma lei a raccontarsi a me…

Hai partecipato a questa antologia perché probabilmente condividi l’idea di fondo da cui è nata. Raccontaci cos’è il noir per te e perché il Novecento è un secolo così ricco di ispirazione, di scenari, di suggestioni?

Il genere noir è come una musica, certe volte ti avvolge e ti prende l’anima, altre va dritta al cuore e ti lascia senza respiro, ma comunque non ti lascia indifferente. Ecco questo è il noir per me, certo quando dico noir non posso non pensare a Izzo e alla sua Marsiglia, ma di ottimi esempi e nostrani ce ne sono a decine.

  • Anni 10

Ciao Angelo, benvenuto. Per prima cosa mi piacerebbe che ti presentassi ai nostri lettori. Raccontati come se fossi un personaggio di un tuo racconto. Chi è Angelo Marenzana?

Mi muovo tra le nebbie invernali di Alessandria e la sua umidità soffocante dell’estate. Orgoglioso di fare parte della schiera del segno zodiacale più noir, lo scorpione, indicato come quello delle grandi passioni, della morte, del tradimento e della vendetta. Ma credo ci sia un eccesso di letteratura in tutto ciò, visto che non mi riconosco in tale personalità, e per il fatto che tiro a campare con un’esistenza assolutamente normale e vivo grazie a uno stipendio da funzionario dell’Agenzia delle Dogane. Il resto è scrittura, lettura, cinema, poca musica, storia dell’arte. Elementi comuni, credo, per chi si diverte a narrare storie. E lo faccio quasi sempre in compagnia di un paio di splendidi bastardoni (detesto la parola meticci, incroci, e quant’altro ci si inventa con la logica del perbenismo verbale). Ovvero i miei cagnetti.

Sei l’autore di Non come in guerra, racconto ambientato dopo la fine del primo conflitto mondiale. L’aumento dei prezzi di fine ‘800 porta ai moti popolari in tutta Italia. Nel 1898 il Gen. Bava Beccaris spara cannonate sulla folla per soffocare i moti di Milano. Negli anni 10 del secolo nuove sommosse operaie sono represse nel sangue. Perché hai scelto questo scenario per il tuo noir?

Ho sempre nutrito un interesse particolare per le storie ambientate nel ventennio, trovando meno affascinante l’inizio secolo. La proposta di Daniele Cambiaso di occuparmi della prima decade l’ho presa quindi come una piccola sfida con la storia. L’occasione per tornare a sfogliare qualche libro di storia, individuare alcuni elementi da riprodurre (per esempio non avevo ricordo, pur avendone sentito parlare, della diffusione della spagnola) e riscoprire anche un malcontento sociale (causa prima dell’insediamento dei fasci combattenti) che forse avevo un po’ sottovalutato come strumento narrativo. Devo dire che invece offre grandi potenzialità.

In cosa si differenzia per te il noir dagli altri generi letterari e perché il Novecento è un secolo così “noir”?

Il noir è un punto di vista, uno dei tanti, per raccontare una storia. Forse più diretto, più crudo, non ama i preamboli, necessita di una scrittura asciutta, spigolosa. Aiuta a mettere a fuoco il lato (per l’appunto nero) dei protagonisti dell’evento raccontato, del periodo storico in cui sono immersi, le loro relazioni, così come l’ambiente, l’atmosfera di cui si nutrono. Non credo che il 900, rispetto ai precedenti, sia un secolo particolarmente noir. Forse è’ solo più vicino a noi, è specchio della nostra anima e della nostra cultura, in più gli accadimenti storici vedono ancora in vita i loro stessi protagonisti e mille ferite sono ancora aperte. La memoria (per fare un esempio di questi giorni) corre alla strage delle Fosse Ardeatine con un criminale nazista come Priebke che sta per compiere 100 anni, ai famigliari delle vittime che ancora chiedono giustizia, ai principi nazisti e xenofobi che serpeggiano in Europa. Cosa certa è che il 900 ha visto una forte individualizzazione dell’uomo e una forte contrapposizione di classi e di ideologie. In questo incontro-scontro è facile far germogliare il mistero e far emergere il sottobosco della politica e degli apparati dello stato in ogni sua forma (la cronaca ne è ricca) che in Italia, in modo particolare, è molto prolifico. Deviazioni fatte di corruzione, intrigo, mafia, terrorismo, speculazioni finanziarie, spionaggio industriale, contrabbando d’armi e droga, extraordinary rendition… insomma. A piene mani!

  • Anni 20

Ciao Riccardo e Massimo, benvenuti. Descrivetevi l’un l’altro non solo fisicamente.

Parigi – Sozzi: strana coppia! Uno proviene da studi umanistici e l’altro da un percorso scientifico. Che dire di loro? Vite abbastanza parallele, che possono essere sommariamente riassunte ricorrendo alla scansione utilizzata in Neronovecento, partendo però da metà secolo (che è poi la loro età): nei ’60: taglia 46-48; nei ’70: taglia 50; negli’80: taglia 52; nei 90: taglia 54; dai 2000: meglio tacere! Mentre aumentavano le taglie, diminuivano certi slanci idealistici di fronte a mirabolanti discese in campo e a “larghissime intese”. Non diminuiva però la voglia di scrivere, di divertirsi con la scrittura, naturalmente meglio se non da soli.

Siete gli autori di Gaggio, racconto ambientatato in Italia nei primi anni Venti. Gli albori del fascismo. Raccontateci in breve la trama del racconto e da cosa o da chi vi siete ispirati.

La voce narrante di Gaggio è quella di un giovane che appartiene a un’antica famiglia di circensi, i Cervaro. Il ragazzo vive a disagio nel circo, si sente appunto un gaggio, un estraneo, fino al punto di non accettare più l’autorità del nonno, un personaggio minaccioso e dispotico. Ma il protagonista è sempre più insofferente anche nei confronti di un’Italia che è uscita distrutta dal primo conflitto mondiale ed è scossa da fortissime tensioni sociali e dalle violenze dello squadrismo fascista.

Noir e Novecento un binomio interessante. Siete lettori di noir quali sono i vostri autori preferiti di questo secolo?

Non è facile fare delle scelte, ma certo abbiamo apprezzato il geniale Goodis, Woolrich e la strepitosa serie “in nero”, Ellroy e l’inferno di Los Angeles, e di recente le giovani “belve” di Winslow.

  • Anni 30

Ciao Giorgio, benvenuto. Sei un ospite ormai abituale del nostro blog. I nostri lettori probabilmente non hanno bisogno che ti presenti. Ma raccontaci lo stesso qualcosa di te, qualche aspetto sconosciuto di Giorgio Ballario.

Non voglio portar via troppo spazio a questa intervista-monstre ai dieci autori. Perciò mi limito a ricordare la mia attività editoriale (l’altra, quella lavorativa, come forse qualcuno sa si svolge in veste di giornalista al quotidiano La Stampa): ho pubblicato finora cinque romanzi, tre dei quali fanno parte del cosiddetto “ciclo coloniale”, cioè le indagini del maggiore Morosini nell’Africa orientale italiana degli Anni Trenta: “Morire è  un attimo”, “Una donna di troppo”, “Le rose di Axum”. Un ulteriore romanzo del ciclo era in uscita nei mesi scorsi ma le… disavventure  dell’editore ne hanno impedito la pubblicazione, così adesso sono alla ricerca di un nuovo editore. L’ultima opera – “Nero Tav” – è uscita in via sperimentale in formato e-book sul sito di Amazon.it. In più ho partecipato con alcuni racconti a un paio di antologie di giallo-storico. Tre, con “Neronovecento”.

Il tuo racconto, ambientato nell’Eritrea degli anni Trenta, si intitola L’uomo con la valigia. Ce ne vuoi parlare? Che esperienza è stata far vivere il maggiore Morosini in un racconto?

Dati gli studi e le ricerche effettuati in precedenza per scrivere i quattro romanzi del ciclo coloniale, ricostruire in modo credibile il viaggio allucinato del protagonista del racconto sul treno Asmara-Massaua non è stato troppo difficile. Lo è stato di più far figurare Morosini non come protagonista, ma nel ruolo di comprimario. Una bella giravolta, a cominciare  dal tipo di narrazione, che non è stata più in prima persona, come nei romanzi, raccontati dal protagonista; bensì in un’inedita, per me, terza persona.

Il Novecento è stato un secolo caratterizzato da due Guerre Mondiali, una guerra fredda, colonialismo sfrenato, guerre etniche, genocidi. Il peggio che l’uomo sia stato capace di creare reso decuplicato, centuplicato dalle grandi scoperte tecniche e scientifiche, pensiamo solo alla bomba atomica. Pensi che il secolo appena iniziato sarà altrettanto “noir”? 

Se il XX secolo è stato senza dubbio noir, il XXI ha tutta l’aria di voler essere un secolo noir-fantascientifico. Ma nell’accezione più pessimista e negativa del termine, diciamo più Philp Dick che Isaac Asimov. Nel senso che molte utopie negative, senza che neppure ce ne rendessimo conto, si sono ormai avverate, sia pure in modo morbido e graduale, quasi impercettibile. E quindi l’uomo del XXI secolo si ritrova quanto mai schiavo della tecnologia e dell’economia, controllato e controllabile, sempre più ingranaggio di un meccanismo globale e globalizzato. Sembra esserci poco spazio per la ribellione individuale e per le storie poliziesche in senso classico, ma non è il caso di disperare: il noir è connaturato al genere umano e può spuntar fuori laddove meno te lo aspetti.

  • Anni 40

Denise Bresci e Ugo Polli, benvenuti. Raccontateci qualcosa di voi. Che studi avete fatto, come è nato il vostro amore per la scrittura?

Denise – Ciao, l’amore per la scrittura credo venga con l’amore per la lettura. Ho scritto un primo racconto alle medie, che feci leggere alla mia professoressa di italiano… mi vergogno ancora adesso! Come potevo pensare di scrivere, così giovane!
Nonostante i suoi complimenti smisi subito: al liceo, con lo studio di tanta meravigliosa letteratura (ho fatto il classico), posai subito la penna, se non per fare i compiti (e le poesie che scrivono tutti gli adolescenti, che non conto).
All’università mi sono orientata invece verso il mondo scientifico, soprattutto per necessità -all’epoca, ciò garantiva maggiori possibilità occupazionali- : ma le passioni giovanili (arti figurative, letteratura, musica) sono sempre in primo piano, per me. Così negli anni ho sempre letto tanto, diventando sempre più appassionata e sempre più pretenziosa, “difficile” nelle scelte. Il gusto si affina e ci si inizia a porre domande sul perché una cosa piaccia più di un’altra, perché un autore ci appassioni e l’altro no.. E’ qui, in questo tipo di indagine, in questa ricerca di mezzi critici che secondo me nasce la possibilità di scrivere: perché si capisce cosa si vorrebbe ottenere e nasce il desiderio di provarci. Ringrazierò sempre Daniele per avermi dato la possibilità di apparire come “autore”, visto che il primo racconto pubblicato lo devo a lui: “Quando ci incontreremo di nuovo noi tre?”, nell’antologia “Nero Liguria” che curò per Perrone Lab.

Ugo: È nato tardi: e non è proprio amore, è più voglia di qualcosa di buono. Scrivere è un’attività dura, faticosa, assorbente e non sempre il risultato soddisfa. Noi veniamo entrambi da studi classici e siamo sempre stati lettori voraci: di conseguenza, come lettori, siamo abituati a confrontarci con livelli di scrittura decisamente notevoli. Questo ci porta a criticare continuamente quello che scriviamo. Cerchiamo di non cadere nel perfezionismo, ma non è facile…

Siete gli autori di Requiem, racconto ambientato negli anni Quaranta, al termine delle Seconda Guerra Mondiale. Raccontateci in breve di cosa parla il vostro racconto.

Denise –  Il nostro racconto contiene varie storie: una storia di vendetta, una storia di perdono, una storia di sconfitta e disillusione. E’ un giallo, perché così doveva essere, ma abbiamo cercato di creare dei personaggi “veri” che dovrebbero rimanere nella mente del lettore più del plot e più dell’ambientazione.

Ugo: Requiem è una storia di guerra, di tradimento, di vendetta e redenzione. Una colonna partigiana viene sterminata, una bambina ha perso il padre, qualcuno cerca di ricostruire ciò che è successo veramente. L’obiettivo, speriamo raggiunto, è stato dall’inizio quello di creare una storia di genere senza rinunciare a tratteggiare i personaggi in modo credibile dal punto di vista drammatico e, possibilmente, senza tirare mai il freno. Di certo, sotto questo profilo, il periodo storico aiuta.

Raccontateci cosa è per voi il noir e in che misura il Novecento ha reso possibile una sua così grande diffusione.

Denise: Il noir è, tra i “generi” (giallo, thriller, horror, fantasy, fantascienza) forse il mio preferito: è quello che permette di mettere in scena storie interessanti, fuori dal comune ma anche personaggi credibili, scavati a fondo nella loro personalità. I noir sono sempre tragedie: e, come lettore, per me non c’è niente di meglio. Il noir permette di attraversare la Storia, di raccontarla con forza e serietà: penso a Ellroy, il più grande maestro del genere. Ma permette anche esplorazioni stilistiche: e qui, oltre a Ellroy, penso a Peace i cui virtuosismi rendono un romanzo un’esperienza indimenticabile.
Penso che la sua diffusione nel secolo scorso sia una naturale evoluzione della letteratura; il passo dal racconto realistico di una storia “forte” a quello di una storia “noir” è brevissimo: si tratta solo di volersi sporcare le mani, di voler provare a ritrarre le persone e la Storia “a tutto tondo”. Basta solo questo, ed ecco il “noir”. Un ritratto senza giudizio, il cui intento è di indagine: ma non di indagine poliziesca; indagine umana, solo per capire meglio. E qui penso a quello che potrei considerare il vero padre del noir: il grandissimo Truman Capote e il suo “A sangue freddo”, un romanzo a suo modo disturbante e modernissimo, scritto in maniera perfetta (e in cui, come in ogni vero noir, non c’è alcuna soddisfazione, alcun senso di giustizia nonostante il processo e l’esecuzione dei colpevoli).

Ugo: James Ellroy, uno dei nostri autori preferiti, disse una volta che il noir è l’esatto contrario di Disneyland. Sviluppando la definizione a contrario si può dire che cosa non è il noir: non è consolatorio, nessun personaggio vince, nessun crimine viene veramente punito. Il giallo classico (penso a Agatha Christie) presenta una situazione oggettiva, un problema quasi matematico che deve essere risolto per ripristinare l’equilibrio che l’evento / crimine ha spezzato; il noir, al contrario, presenta situazioni fortemente soggettivizzate, frammentate, in cui l’accento è posto su personaggi mossi da impulsi personali quando non da vere e proprie ossessioni. Una visione oggettiva è impossibile: per di più è possibile scrivere un noir con elementi gialli (mistero, indagine, rivelazione) mentre, noi riteniamo, è impossibile scrivere un giallo con elementi noir. E’ un problema di retrogusto: quello del giallo è dolce, quello del noir è amaro.
Il Novecento, e in particolare Hollywood negli anni ’40, ha creato il genere e la definizione stessa di noir. Come avviene quasi sempre, la Creatura si è ribellata al Creatore: dalla superficie costituita dalle atmosfere rarefatte “alla francese” e dai fascinosi losers, dalle femmes fatales e dalle trame fantasiose e quasi oniriche di Casablanca e del Falcone Maltese si è passati alla profondità di analisi psicologica e di introspezione degli Ellroy e dei Peace. Mentre l’obiettivo originario del genere era creare evasione condita da un pizzico di violenza ambientando in situazioni immaginarie e/o in contesti esotici, il noir attuale crea personaggi e storie dalle quali non riusciamo a staccarci e che ci infestano per molto tempo. Forse perché, tutto sommato, ci racconta meschinità e ossessioni che, in qualche misura, possiamo riconoscere (anche) come nostre.

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