:: Un’ intervista con Samuel Marolla

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tea_coverDal 27 febbraio è disponibile nelle principali librerie online, al prezzo standard di € 1,99, per la casa editrice Mezzotints Ebook, specializzata in editoria digitale, il nuovo ebook, in lingua inglese di Samuel Marolla, Black Tea and other stories, primo titolo della collana Buio, diretta da Alessandro Manzetti e pubblicato con il contributo dei vincitori del Bram Stoker Award: Benjamin Kane Ethridge, che si è occupato dell’editing, e Gene O’Neil, che ha scritto l’introduzione, dal titolo A box of lovely dark chocolate. L’opera comprende tre racconti: Black Tea (Tè Nero), Crocodiles (Il Coccodrillo), e The Janara (La Janara). Noi di Liberi abbiamo avuto l’opportunità di leggerli in edizione italiana, e intervistare l’autore. Abbiamo infatti oggi con noi Samuel Marolla.

Benevenuto Samuel su Liberi di Scrivere e grazie di aver accettato la nostra intervista. Sei una persona molto misteriosa, riservata. Raccontaci qualcosa di te, qualche episodio significativo della tua vita, che vuoi dividere con noi.

Racconto una cosa che ho già detto in una vecchia intervista. Quando ero bambino per motivi familiari ho trascorso diverse estati  in una scuola elementare, chiusa al pubblico per le festività (era aperta solo la segreteria, con un paio di persone al lavoro). Erano mesi lunghissini, infiniti, nei quali giocavo da solo fra i corridoi, le classi, la palestra, il giardino. La situazione era esattamente come quella di Danny in Shining nell’Hoverlook Hotel, ma senza triciclo, e in una scuola invece che in un albergo. Ho iniziato allora a creare storie nella mia testa, forse per vincere la noia. E sì, la scuola deserta faceva davvero paura, tanto che ancora oggi non sono riuscito a scriverci un racconto. Le classi vuote, i cigolii, i rumori nel silenzio, i lunghissimi corridoi deserti, con i pavimenti a scacchiera, le grosse mattonelle rosse e bianche, e, nell’angolo in fondo in fondo, un’ombra appena accennata, come se qualcuno, nascosto, mi stesse attendendo… Tutto questo deve avere attivato qualche connettore sconosciuto nella mia testa e sono iniziate le storie di paura, che poi mettevo su carta, nella segreteria scolastica, iniziando a lavorare su una vecchia Olivetti ministeriale. E da allora non ho mai più smesso.

La narrativa horror permette di scoprire un mondo affascinante e terribile, dove si muovono le pulsioni più antiche e forti che agiscono nell’uomo. La paura è forse la forza più destabilizzante e sconvolgente. Si può morire di paura. Da dove nasce secondo te la paura?

Dal desiderio segreto di essere rassicurati sul fatto che ci sia vita dopo la morte, che la morte non sia la fine di tutto. Siamo terrorizzati dalle storie di paura, ma in realtà la conferma che ci sia qualcosa oltre il confine è ciò che desideriamo più ardentemente. Io sono convinto che il genere horror parli segretamente di questa speranza.

Come è nato il tuo amore per l’horror? Da quali letture? Quali sono gli scrittori horror da cui hai imparato di più?

Il mio inizio è stato Stephen King (A volte ritornano), Lovecraft (Il ciclo di Chtulhu), Ray Bradbury (la raccolta Urania “Molto dopo mezzanotte”). Oltre a King, Lovecraft e Bradbury, fra gli autori che maggiormente mi influenzano, sia per stile che per tematiche, aggiungo Robert Howard, Dino Buzzati, Giorgio Scerbanenco.

Parliamo adesso di Black Tea and other stories. I primi due racconti Black Tea (Tè Nero), Crocodiles (Il Coccodrillo) sono stati già pubblicati in cartaceo nella raccolta Malarazza (Epix Mondadori, 2009), mentre l’ultimo era già disponibile sul tuo sito in formato ebook, ma in italiano. Ora la possibilità di leggerli in inglese. Come affronti questa nuova esperienza, il confronto con i grandi autori horror americani?

Uno dei miei sogni letterari è sempre stato quello di farmi leggere “a casa” dei miei maestri, cioè negli Stati Uniti. Per cui sono felicissimo di questa uscita e non vedo l’ora di leggere i giudizi fuori dall’Italia. Per ora, quelli di Gene O’Neill, che ha scritto la prefazione, e di Benjamin Kane Ethridge (che ha seguito l’editing inglese), sono stati lusinghieri.

Black Tea è un racconto molto claustrofobico: manca l’aria leggendolo, non c’è via d’uscita, corridoi senza fine, un labirinto in cui perdersi. Una villa cadente, velluti, tappeti, lampadari di cristallo, un’ ambientazione tipica della letteratura gotica. Soprattutto Poe, sento vivere in queste pagine. Come è nato questo racconto?

Da un incubo ricorrente che avevo fino a qualche anno fa. Sognavo spesso di ritrovarmi in una casa come quella del racconto, una grande casa gotica con corridoi stretti pieni di mobili, in cui si faticava a muoversi; ma non era isolata, c’erano piccole finestre da cui vedevo la gente passare, colpivo i vetri ma ero come invisibile, e imprigionato. L’incubo finiva sempre con una presenza malevola, dentro casa, che veniva a cercarmi, e io mi nascondevo in un vano dentro un mobile, consapevole che non ne sarei mai più uscito.

La vecchia rappresenta il male, una forza oscura che come un ragno imprigiona nella sua tela. Ma anche lei ha delle limitazioni: non può entrare in certe stanze, si sente solo il suo respiro, la sua rabbia. C’è una speranza di salvezza per i superstiti?

Se scopriranno tutte le regole e le seguiranno, forse sì.

Questa villa metaforicamente rappresenta qualcosa di altro? C’è un messaggio superiore racchiuso in questo racconto?

Non penso mai a messaggi diversi da quelli relativi alla struttura primaria del racconto. Se ve ne sono, sono inconsapevoli. Se leggessi un racconto così scritto da altri, potrei pensare forse che la casa-labirinto rappresenta la vita stessa, quelle vite che alcuni (forse tutti noi, in alcuni momenti) si fanno costruire addosso dagli altri, si fanno vivere dagli altri, rimanendo testimoni passivi di se stessi, figuranti che leggono il gobbo nella commedia che è la loro stessa esistenza.

Milano è la tua città, la descrivi nei suoi aspetti più cupi, inquietanti, estranianti, barocchi. Parlaci di Milano come scenario ideale per una storia horror.

Milano è una fucina di horror, che si rinnova sempre. Solo così si potrebbe spiegare l’inquietudine che suscita una visita nel recente quartiere universitario Bicocca (pura geometria lovecraftiana) o i grattacieli di Repubblica che incorniciano la claustofobica piazzetta Gae Aulenti.

Crocodiles è un racconto quasi satirico: un uomo un giornalista, riceve in dono per una buona azione, un vino, un elisir ‘miracoloso’. La follia, la vendetta, si intrecciano e la scrittura dei coccodrilli, quegli articoli scritti per commemorare un defunto, quando ancora respira, assumono una luce inquietante. Vuoi parlarci di questo racconto?

Lo ritengo uno dei racconti più spaventosi che abbia mai scritto perché parla dell’orrore della solitudine, quella vera, quella cattiva, che rende cattivi.

Ultimo racconto della raccolta The Janara.Vuoi parlarcene?

E’ un’altra paura infantile che ho avuto spesso, quella di una figura che girava intorno al letto mentre dormivo, e che se avesse sentito il mio respiro, o un minimo rumore che avesse segnalato la mia presenza, avrebbe avuto il diritto di prendermi. Tecnicamente, volevo scrivere qualcosa che parlasse della figura folkloristica della Janara, ma senza esagerare. Le storie folkloristiche hanno il rischio di cadere nel didascalico, quindi ritengo che l’elemento folklorico debba essere appena accennato.

Grazie Samuel della tua disponibilità. Mi piacerebbe chiudere questa intervista chiedendoti anticipazioni sui tuoi progetti futuri.

Romanzi da terminare, romanzi terminati da revisionare, progetti in valutazione, anche in ambiti diversi dal fumetto e dalla narrativa. L’unica cosa certa è che l’Orrore continuerà.

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