:: Lorenzo Mazzoni intervista Salvatore Bandinu autore di Sotto i ponti di Yama (Arkadia, 2012)

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Sotto i ponti di YamaCon sottofondo di Raghupati, Ananda Shankar

Leggo nel quarto di copertina de Sotto i ponti di Yama: “La perversa logica della globalizzazione e i suoi devastanti effetti, riscontrati direttamente sotto i ponti di Calcutta, la moderna Kolkata, offrono all’autore l’occasione per una riflessione fuori dai soliti schemi pietistici o miracolistici. Un viaggio nell’India di Gandhi e Madre Teresa, in quella descritta da Tiziano Terzani, Hesse, Pasolini, Moravia, Lapierre. Ma anche l’India del popolo della strada e dei suoi silenziosi ma acuti tormenti, dell’Hi-tech, di Bollywood, delle grandi multinazionali e dei suicidi di massa dei contadini. Un lucido cammino attraverso l’indian dream contrapposto a quello della più sordida miseria, dove folle di mendicanti, senzatetto, persone denutrite, portano avanti, giorno dopo giorno una sistematica lotta per la sopravvivenza. Un libro per tutti coloro che nei supplizi e nei rantoli dei dannati della terra non identificano una precisa volontà divina, ma individuano una specifica, responsabile e scellerata scelta umana.” Puoi spiegarci il perché del tuo viaggio a Calcutta e della scelta di scriverne poi un reportage così incisivo?

Non la posso definire una “scelta”, piuttosto una necessità. Arriva un momento nella vita in cui senti il bisogno di andare a toccare con mano una realtà che hai sempre e solamente visto in televisione o letto tra le pagine di qualche libro. L’estate del 2008 per me ha rappresentato un periodo molto particolare della mia vita. Ho deciso così, all’ultimo momento, rovistando su google e cercando luoghi significativi, veri, con i quali confrontarmi. Un confronto, un esame, un’opportunità, una scommessa. Ed ecco comparire Calcutta, con le sue immagini forti, dure, terribili. Non ho avuto dubbi, sarei andato lì. Viviamo avvolti dall’apparenza, dalla finzione e dalla virtualità. Il mio è stato un bisogno assoluto di sentire l’odore dello sterco e della polvere. L’odore ancestrale dell’umanità. Un’ esigenza di verità.   Il tempo per preparare il visto e farmelo autorizzare e poi il viaggio. Un salto nel buio, un’ immersione nel profondo della mia anima. Tornato a Cagliari, dentro di me qualche cosa pulsava e premeva talmente forte e insistente che ho dovuto ascoltare. Scrivere e testimoniare questa mia esperienza è stata una cosa inevitabile. Tempo fa lessi riguardo il potere catartico e liberatorio che ha la scrittura. E’ stato proprio così anche per me. Ho preso una penna in mano e ho semplicemente rielaborato il diario che ogni giorno scrivevo chiuso nella stanza d’hotel a Calcutta. Così e nato “Sotto i ponti di Yama”.

La storia è scritta in modo molto personale e con una struttura inedita. Ci sono, tuttavia, “Cattivi Maestri” che ti hanno ispirato? Reportage di altri autori che hanno avuto qualche importanza nella stesura finale di Sotto i ponti di Yama?

No. Il bello di questa esperienza è stato che sono partito in India completamente “vergine” di conoscenze e di nozioni. Non mi vergogno nell’affermare pubblicamente che di questo continente non sapevo assolutamente nulla. Neppure che l’India fosse la più grande democrazia al mondo. E’ stato comunque un bene non conoscere nulla della realtà che stavo andando ad incontrare. In questo modo nessun condizionamento ha potuto interferire con i miei pensieri e le mie personali e profonde valutazioni. Valutazioni e sensazioni che sono venute a galla da sole, con una naturalezza davvero significativa e sconcertante. Il mio percorso di informazione circa la storia del sub-continente è avvenuta negli anni a seguire. Ho letto Giorgio Manganelli, Pierpaolo Pasolini, Moravia, Hesse, Rampini, Terzani, Roy,  e diversi altri autori che hanno vissuto l’India ognuno a proprio modo.

Sei molto critico con la visione pietistica occidentale nei confronti dei dannati della terra, visione che condivido in pieno. La tua analisi ha avuto stravolgimenti dopo il tuo viaggio in India o è un pensiero che avevi già elaborato prima della partenza?

Questa è una parte molto delicata. Non sono una persona molto avvezza ai compromessi e devo dire che ho davvero fatto uno sforzo notevole per non trasformare il libro in un manifesto contro l’ipocrisia. Anche mia, sia ben inteso.
Ho sempre pensato che il pietismo altro non è che un perverso sistema dal quale traggono beneficio altre persone o “istituzioni”. Il pietismo come alcune forme di “compassione” sono sistemi istituzionalizzati e radicati talmente nel profondo di ognuno di noi che è difficilissimo riuscire a liberarsene. Non dimentichiamo il ruolo che copre il “senso di colpa” è nato dal “peccato originale”. Nasciamo già colpevoli di colpe terribili per le quali comunque esiste il sistema di “purificazione” purché disposti a genufletterci. Per farla breve, è molto funzionale allevare figli e mantenerli emotivamente sempre dei “fanciulli”.
Calcutta è (ai miei occhi) una lavatrice di coscienze sporche oltre che un’ industria dalle risorse illimitate per chi traffica questi sensi di colpa. Devo essere sincero, mi piacerebbe credere a tutto questo. Vivrei indubbiamente più sereno. Resta il fatto che “la verità” rende liberi, per questo bisogna allenare il senso critico e resistere alla tentazione di “fuga dalla libertà”.
I diritti rendono libere le persone e non alimentano perverse forme di asimmetria spirituale dove esiste una persona che aiuta e un’altra che riceve l’aiuto. La storia ci ha insegnato cosa accade quando entra in campo la “religione”.
Chiunque a tal proposito può fare una facile esperienza. Andate su internet e digitate la parola “Calcutta+libri”. Resterete stupiti del fatto che compariranno migliaia di titoli su Madre Teresa e forse due o tre sulla reale storia di questa città. Una città di venti milioni di abitanti che riesce a “sparire” monopolizzata da un’ icona. Assurdo ma indicativo no?

Soprattutto nella seconda parte del testo analizzi e spieghi molti fattori storici che hanno fatto dell’India e di Calcutta quello che è oggi. Come ti sei documentato? Hai dovuto intervistare persone su questi aspetti prettamente storiografici e sociali?

Semplicemente ho letto moltissimo. Esiste una vasta bibliografia che tratta la storia dell’India e di Calcutta. Leggere la storia di questa città dopo averla respirata per tanto tempo è stata un’ ulteriore esperienza meravigliosa.

Citi molto spesso Jawaharlal Nehru, il Mahatma Gandhi e anche Buddhadeb Bhattacharjee, il vecchio leader del partito comunista bengalese. Cosa pensi di questi personaggi e di come si sono comportati nei confronti del popolo indiano e della Storia?

Leggendo non solo di questi personaggi principali – che hanno scritto la storia dell’India moderna – ma anche di altri meno conosciuti, ho capito quanto amore e quanta passione ognuno di loro ha messo in campo per vedere realizzato un sogno. Certamente non tutti hanno seguito un filo conduttore fatto di pace e compromesso, ma anche tra quelli più “bellicosi”, traspare una passione commovente. Stiamo parlando di personaggi che hanno pagato con la vita e con molti anni di prigione le loro idee e i loro ideali.

In certe parti il tuo libro mi ha ricordato descrizioni lette in Shantaram di Gregory David Roberts e Flash di Charles Duchaussois. Ovviamente i loro testi narrano storie completamente diverse dalla tua esperienza, forse è l’atmosfera “India” che mi ha fatto nascere questo paragone. Hai letto questi romanzi/reportage? Pensi che l’India possa influenzare un certo tipo di scrittura?

Non ho letto questo romanzo anche se mi ripropongo ogni volta di farlo. Mi hanno detto che è fantastico. Continuo ad affermare che se riuscissimo per un attimo ad uscire dalla logica che Calcutta sia solamente la città della Santa, allora scopriremmo che Kolkata è un caleidoscopio immenso e variegato dove la religione cattolica rappresenta solamente il 2%. Una babilonia di lingue, culture, tradizioni, etnie e religioni davvero sorprendente. Il paradiso della diversità.

Fra tutti gli incontri che hai avuto e che ha descritto ampiamente in Sotto i ponti di Yama, ce n’è qualcuno che ti ha colpito maggiormente e che avresti voluto analizzare più dettagliatamente?

Impossibile rispondere. E’ stato un continuo incrociare sguardi e anime. Una giostra di emozioni incessanti dove neppure per un attimo sono riuscito a staccare lo sguardo da qualcuno o da qualcosa. Ho collezionato talmente tante emozioni che sarei in grado di scrivere almeno altri tre libri sull’argomento. Tuttavia, posso citare un episodio tra i tanti. Notte fonda, solita uscita per distribuzione alimenti e vestiti sotto i cavalcavia e per le strade. Arriviamo sotto l’Hoogly, il ponte più grande della città. Ci recavamo spesso proprio per l’alta concentrazione di barboni che vivevano li. Un barbone prende il succo di frutta che gli doniamo e prima ancora di bere, aiuta il suo amico disabile. Lo fa con una tenerezza che ancora adesso che ci penso mi commuove. Indelebile nella mia mente il suo sguardo e la sua dolcezza.

L’India è il mondo hanno qualche speranza di salvarsi da questa imperante globalizzazione senza scrupoli?

Non sono molto ottimista. Lavorando da quasi vent’anni con bambini ho maturato la convinzione che gli esseri umani sono fatti per apprendere e plasmarsi. Se questo non lo si fa da subito, il rischio è che si prendano strade che poi difficilmente si possono cambiare. Credo che siamo tutti vittime di una follia generale che ci fa pensare di essere felici solo nella misura in cui riusciamo a collezionare beni e a usufruire di servizi spesso inutili. E’ una corsa folle in cui l’India (come altri paesi in pieno sviluppo) è attualmente impegnata. Basta guardarsi attorno. L’uomo non è diventato egoista, è sempre stato egotico. Guarda solamente a se’, al suo bene, al suo interesse. No, non sono ottimista. Penso che questa strada che abbiamo scelto di percorrere sia una strada che porta ad un burrone. Solo dopo la caduta sarà possibile ricominciare… sempre ammesso che si rivedano moltissimi aspetti legati alle scelte educative.

Quale è stato il metodo di stesura del libro? Hai scritto tutti i giorni? Hai un metodo di lavoro quotidiano?

Come ho già accennato, il grosso del libro l’ho scritto a Calcutta sotto forma di diario. Rientrato a casa ho semplicemente rielaborato il tutto e articolato la seconda parte fatta più di contenuti storici che di esperienze vissute. Nessun metodo. E’ come se il libro si fosse scritto da sé.

Hai in cantiere nuovi libri e nuovi viaggi? Come sta andando la promozione di Sotto i ponti di Yama? Stai avendo un riscontro positivo dal pubblico italiano.

Da qualche mese è uscito il mio nuovo libro scritto con un amico educatore (Bruno Furcas) dal titolo “I dolori del giovane bullo. Disagio e adolescenza ai tempi dei social network” sempre edizione Arkadia. Sempre in questi giorni è uscita un’ antologia di 12 racconti. Un’ esperienza intensa nella quale ho conosciuto i detenuti di una casa di reclusione e da questo incontro è nata un’ antologia.
Prossimo viaggio? Non so davvero. Aspetto che sia l’istinto a suggerirmi. Non nascondo che da anni sono attratto dalla Palestina e dai suoi “segreti”. Altro posto dove si annidano bugie e verità, interessi e nefandezze…

2 Risposte to “:: Lorenzo Mazzoni intervista Salvatore Bandinu autore di Sotto i ponti di Yama (Arkadia, 2012)”

  1. Avatar di Laura P. Laura P. Says:

    Ho trovato molto interessante ciò che proponete! Da un po’ vi seguo assiduamente. Vogliate dare uno sguardo anche al mio blog http://lapersonaggia.blogspot.it/ 🙂 Sono giovane, non è mai facile per noi purtroppo…

  2. Avatar di Shanmei liberdiscrivere Says:

    Ciao Laura, sono passata da te. 🙂

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