:: Recensione di Sinfonia di piombo di Victor Gischler a cura di Giulietta Iannone

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A volte la mafia aveva bisogno di dare una scrollata alla concorrenza, ma non voleva prendersene la responsabilità. Mike non faceva nemmeno finta di capire le politiche della malavita. Sapeva solo che si facevano bei soldi spazzando via certa gente.

Sinfonia di piombo (Shotgun Opera 2006), finalista all’Anthony Award quinta opera di quel vulcano di creatività e icona del pulp-noir che è Victor Gischler di cui Joe Lansdale dice che “porta la scrittura a danzare sull’orlo dell’abisso”, tanto per intenderci e se lo dice lui c’è da credergli, tradotto da Marco Piva Dittrich e pubblicato da Revolver nuova collana di BD, è un romanzo decisamente, ma decisamente impressionante non solo per capacità tecnica, inventiva, umorismo, senso del ritmo ma perché prende un genere, il noir di mafia, e lo rivolta come un calzino, infarcendolo di tutta la stralunata bizzarria del pulp più spinto e provocatorio. E’ un romanzo frenetico, surreale, maleducato con venature anche hard in cui la violenza forse eccessiva ed esasperata non scade mai però nel grottesco ma contribuisce a dare una certa crudezza all’azione che proprio sul punto di diventare insopportabile viene stemperata da dosi massicce di umorismo e autentica comicità. Forse in questo consiste “il danzare sull’orlo dell’abisso” forse in questo c’è il segreto che rende Gischler un autore a suo modo eccezionale e sopra le righe. Tutto ha inizio ad Harlem, quartiere nero di New York, nel lontano 1965. Due fratelli Dan e Mike Foley, due ragazzi irlandesi, due sicari di basso livello che si guadagnavano da vivere risolvendo problemi per conto dei mangiapasta sono seduti sulla loro Buick e aspettano dietro ad un club prima di dare una lezione a una gang di Harlem colpevole di  avere sconfinato nel mercato di eroina della mafia. Ne seguirà una sparatoria, una vera sinfonia di piombo, al suono di mitragliatrici Thompson calibro 45, pistole automatiche e fucili più l’esplosione di una piccola bomba a mano tanto per dare inizio alle danze. Tra schegge di vetro, corpi crivellati, sangue dappertutto, Mike intravede una piccola gamba bruna, magra, con un calzino increspato rosa sul piede, e lo shock per questo evento imprevisto segnerà la fine della sua carriera nel crimine e l’inizio di un volontario esilio nella pace agreste dell’Oklahoma a coltivare la terra e produrre vino per scontare nella più profonda solitudine le colpe commesse. Ma quarant’anni dopo il destino, che non si è scordato di lui, torna a bussare alla sua porta sotto le sembianze di suo nipote Andrew, figlio di Dan ormai morto anni prima di cancro dopo essersi ritirato anche lui dal crimine per aprire un bar nel Queens. Andrew studente al primo anno di conservatorio di Manhattan e sempre a corto di denaro questa volta si è ficcato davvero in un brutto, ma brutto guaio per dare retta a due amici aspiranti mafiosi che gli avevano presentato un lavoretto senza impegno per un piuttosto necessario guadagno facile. Tutti quelli invischiati in quel traffico, lo sbarco clandestino in un container di un terrorista arabo, iniziano a morire come mosche per mano della donna più pericolosa del mondo, la killer Nikki Enders, una donna che uccide come respira, intenzionata a seguire Andrew anche ai confini del mondo per portare a termine la sua missione. Andrew si ricorda allora delle ultime parole del padre sul letto di morte: rivolgiti a zio Mike solo se sei con l’acqua alla gola. Trova una vecchia foto, che cazzo poteva anche prendere e portarsi con sè e non farla trovare alla bella Nikki ma tanto di vi fa capire quanto sia balordo, su cui sta scritto il numero di telefono dello zio, gli telefona chiedendogli aiuto e prende il primo autobus per fiondarsi nel nulla dell’Oklahoma. Da questo momento è il caos, una sarabanda allucinata con dialoghi al fulmicotone di un umorismo acido e cattivo, piena di personaggi bizzarri e stravaganti, una sconclusionata manica di assassini che piombano nella vita di Mike e lo costringono con la forza a tornare ai vecchi tempi. Non vi dico il finale se no farei una brutta fine ma vi assicuro che è inevitabile e anche un po’ triste seppure nell’epilogo un barlume di speranza si intravede all’orizzonte.

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