:: Intervista a Marcello Simoni a cura di Cristina Marra

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 La tua opera prima. Perché la scelta di scrivere un thriller ambientato nel Medioevo?

Negli ultimi anni ho scritto diversi saggi che mi hanno avvicinato a questo periodo storico, orientando la mia creatività non solo sul fronte scientifico-documentario ma anche su quello della fiction. Poiché da tempo volevo scrivere un romanzo, mi è parsa una scelta sensata – anzi, quasi un must – ambientarlo in un secolo pieno di fascino come il XIII secolo. Al di là delle usanze e degli eventi storici, l’elemento che maggiormente mi incuriosisce è la forma mentis dell’uomo medievale, a metà strada fra la cultura pagana e quella cristiana. Un altro must è stata la scelta del genere: come ho già spiegato altrove (sulla ezine Carmilla on line), il thriller possiede moduli narrativi che si lasciano “contaminare” con facilità da elementi provenienti da altri generi che vanno dal gotico all’avventuroso, dal noir al fumetto. Di fatto, ho scritto un romanzo ibrido.

Monaci, libri e omicidi. Il paragone col Nome della rosa è stato inevitabile. Che effetto ti ha fatto?

Mi ha lusingato, ma non sono del tutto d’accordo. Innanzitutto perché di romanzi ambientati nel Medioevo, tra castelli e monasteri, ne sono stati pubblicati a iosa e mi pare azzardato usare come unica pietra di paragone il capolavoro di Umberto Eco. A scanso di equivoci, Il Mercante di libri maledetti è certamente enigmatico e contiene enigmi come avviene ne Il nome della rosa, ma ciò non significa che io intenda mettermi al livello del noto semiologo. Umberto Eco ha scritto un giallo saggistico, io un thriller avventuroso, con tutte le differenze che ne conseguono. Riconosco il debito nei confronti di un maestro che ha saputo reinventare gli schemi della narrativa di genere, tuttavia le mie suggestioni e le mie finalità non corrispondono necessariamente alle sue.

I libri. Possono anche essere maledetti? Che rapporto hai con i libri?

Un libro non è mai “maledetto” in senso assoluto, in quanto porterà sempre benefici a qualcuno. E questo “qualcuno” di solito coincide con chi, leggendolo, ne metterà a frutto gli insegnamenti. La maledizione dei libri ricade sovente su chi non vuole che si legga, essendo questo il metodo più rapido per togliere la libertà e la consapevolezza alla gente. Spesso le cosiddette eresie del pensiero non sono errori né aberrazioni, ma evoluzioni di teorie fondate su nuovi punti di vista. E poiché ciascuno di noi è libero di pensare con la propria testa, può usare i libri come chiavi del futuro.

Sei da mesi in classica insieme a scrittori già affermati. Come vivi questo successo?

Se devo essere sincero non ci penso molto. A me piace scrivere e inventare storie. Mi viene data l’opportunità di farlo e per questo ringrazio le migliaia di lettori che mi seguono. Mi hanno permesso di realizzare un sogno.

Willalme è un giovane solitario e avventuroso, è lui il personaggio più misterioso?

Ogni personaggio del mio romanzo ha dei lati oscuri. Willalme è probabilmente il meno intelligibile perché rimane sprofondato in lunghi silenzi e dà sfogo alle proprie emozioni in modo improvviso, non a parole ma con azioni violente. Inoltre è legato a un passato che nemmeno lui comprende del tutto, come d’altronde dovette accadere alle vittime della cosiddetta crociata contro gli albigesi, quando soldati cattolici massacrarono i catari di Linguadoca. Lavorando al profilo di Willalme ho cercato di plasmare un individuo non-verbale che fungesse da perfetta controparte del loquace Ignazio.

A quando il prossimo romanzo? Sarà un sequel?

Il mio prossimo romanzo uscirà entro la fine del 2012. Riguarderà la seconda avventura di Ignazio da Toledo, una miscela ancora più densa di azione, intrighi ed esoterismo. Il mio progetto è di dare luce a una trilogia.

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