Benvenuto Giuliano su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato la mia intervista. Racconta ai nostri lettori qualcosa di te, descriviti, anche fisicamente, non tralasciando pregi e difetti.
Accidenti, spiazzato alla prima domanda. Pensa che io descrivo pochissimo anche il mio protagonista, Roberto Serra, per lasciarlo immaginare ai lettori e fare in modo che ognuno ci possa trovare qulcosa di sé. Gli farei uno sgarbo descrivendo me stesso. Diciamo che c’è una bellissima foto sulla bandella di “Venti corpi nella neve”, posso rimandare a quella? Mi rende giustizia ben oltre i miei meriti oggettivi!
E’ una domanda che faccio spesso e sono sempre sorpresa dalle risposte che ricevo: come è nato il tuo amore per la scrittura?
Amore nato con me, direi. Ma la costanza per scrivere l’ho acquisita molto più tardi, solo quando ho conosciuto Sara, che poi è diventata mia moglie. Trovata l’altra metà della mela, mi sono sentito più completo come persona. In grado di affrontare una prova complessa come la scrittura di un romanzo.
E’ da poco uscito Venti corpi nella neve il tuo romanzo d’esordio un libro singolare per potere evocativo e struttura narrativa. La storia di una vendetta che si consuma in un borgo isolato dell’ Appennino tosco-emiliano tra Modena e Bologna e che trae le sue origini oscure in un passato lontano ma stranamente ancora vivo e doloroso. Ce ne vuoi parlare. Come è nata l’idea di scriverlo?
Io vengo da un paese dell’Appennino “sospeso” tra Modena e Bologna. Un paese che nell’ultimo inverno di guerra si trovò a essere sul fronte, quella Linea Gotica che costituiva l’ultimo baluardo del Feldmaresciallo Kesselring e delle truppe nazi-fasciste alla risalita degli alleati. Chi ha visto coi propri occhi quel che è accaduto in quel periodo ne parla malvolentieri ma non l’ha dimenticato. Impossibile dimenticarlo, proprio come per la gente di Case Rosse. E io ho voluto perpetrare questa memoria e con essa il dolore che si porta dietro.
E’ vero che Alfredo Lavarini direttore editoriale Fanucci ha chiesto di leggere il tuo manoscritto rispondendo a una tua semplice mail, come ho letto in una tua recente intervista sul blog Sartoris di Omar di Monopoli. Senza agenti, senza un nome famoso conquistato frequentando talk show, un esordiente quasi assoluto in fondo. E’ proprio vero che quando una storia deve essere raccontata trova le sue vie?
E’ esattamente quel che mi è successo. Posso anche dirti che il mio… fondoschiena è proverbiale. E che nella mail c’era scritto che il romanzo era stato selezionato tra i trenta meritevoli di pubblicazione in ebook nella prima edizione del torneo Ioscrittore del gruppo GeMS, quindi c’era stata una sorta di prima scrematura. E questo è stato fondamentale. Ma fa bene al cuore che in una casa editrice di primo livello ci sia un direttore editoriale attento e scrupoloso che fa “cherry picking” tra le mail che arrivano. Uno degli innumerevoli meriti di Alfredo Lavarini.
Sempre in questa intervista citi i classici greci come maestri e ho subito pensato a Euripide, controcorrente, innovativo, radicale nel suo rifiuto della guerra e nella pietà per il nemico sconfitto. Sbaglio o anche per te le sue tragedie, su tutte Le troiane, sono estremamente moderne e rivoluzionarie?
I classici greci sono stati la base su cui ho costruito tutta la mia formazione. Quando qualcuno sostiene che questa o quella trama non sia originale, spesso chiedo dopo Omero chi abbia saputo crearne. Venendo alle tragedie, Euripide (il più moderno, senza dubbio) fa vibrare le mie corde più profonde. Per “Venti corpi nella neve”, oltre a lui ho avuto presente sia Eschilo che insegna che la conoscenza nasce dalla sofferenza, che – soprattutto – l’immanenza del fato di Sofocle. Roberto Serra scappa. Pensa di aver trovato un rifugio sicuro. Eppure, tutto gli torna addosso.
Uno scrittore porta con sé un bagaglio personale fatto di ricordi, sensazioni, insegnamenti. Cosa c’è di profondamente tuo in Venti corpi nella neve?
Il legame fortissimo con il mio Appennino. Una terra non facile, dove la gente ti accoglie con un sorriso ma prima te ne vai, meglio è. Dove ci sono bar di paese in cui, quando entra un estraneo (“un ed fòra” direbbero a Case Rosse) gli avventori abituali si fermano e lo fissano senza fiatare. Dove i ritmi sono scanditi dalla natura e dai suoi cicli.
E’ esistito un nonno, un vecchio zio, un amico di famiglia che ti ha tramandato vecchi ricordi della guerra, conservando così la memoria di fatti accaduti tanto tempo fa ma che costituiscono il nostro bagaglio morale e culturale permettendoti così di costruire il tuo forte senso civico e etico che rifugge da ogni violenza e vede nella pace il solo bene da difendere? Ho letto nei ringraziamenti che accenni a mamma Lina e alle zie, sono loro le depositarie di questa memoria?
Mia mamma aveva otto anni nel 1944, ultima figlia di una famiglia molto numerosa. Nell’ultimo inverno di guerra fu l’unica a restare con i genitori. Tutti gli altri fratelli e sorelle erano partiti per un qualche fronte, rapiti, improgionati, alla macchia. I ricordi sono i suoi, sono quelli di mio padre (classe 1927) che mi raccontò di un eccidio avvenuto a Boschi di Ciano (alle porte di Zocca) dove venti civili furono impiccati per ordine della “compagnia della morte” guidata da Enrico Zanarini. Lui aggiunse un particolare: i cappi sarebbero stati fabbricati con il fil di ferro che si usa per tenere assieme le balle di fieno. Non ho trovato riscontri nei testi, ma ho mantenuto quel particolare. Per chi viene da quella parte d’Italia, la memoria degli eccidi è davvero collettiva. O, almeno, lo sarà finchè ci sarà chi ha visto e vissuto e lo tramanda. Dopo, toccherà a noi fare in modo che non lo si dimentichi e che si pensi per qualche abominevole ragione che “la guerra è bella anche se fa male”.
Preferisci definirlo un noir o un thriller poliziesco e dimmi per te quale è la differenza principale tra questi due generi.
Nella mia testa era una sorta di ape: un giallo-nero. Noir per la centralità della psicologia di Roberto Serra e giallo che l’enigma di cui si cerca la soluzione. Lo vedevo meno thriller, visto che la parte di azione e “adrenalina” non mi sembrava così rilevante. E infatti timeCRIME lo ha indicato come thriller. Mai chiedere a un autore se ha capito cosa ha scritto…
Mi pare Piero Chiara dicesse che gli scrittori migliori ambientano le loro storie nella loro terra, nel mondo che conoscono, che sarebbe innaturale che so per un italiano ambientare i propri romanzi nella provincia americana, nelle nevi e i fiordi del nord, o in luoghi esotici che conosce solo per esperienza indiretta. La pensi anche tu così?
Hai citato lo scrittore italiano che più amo. Come potrei non essere d’accordo con lui? Credo che il noir italiano abbia ancora ancora tantissimo da dire, partendo proprio dalla nostra terra. Io mi sono sforzato di scrivere un romanzo italiano ma non “all’italiana”. Senza concessioni al folclore, insomma.
I francesi hanno una grande tradizione di romanzi noir in cui parlano della guerra, della Resistenza, e delle sue ripercussioni nel periodo post bellico, penso a Simenon, Helena, Fajardie. Sei stato influenzato da questa letteratura nella creazione e costruzione del tuo romanzo?
L’atmosfera opprimente, quasi claustrofobica di Case Rosse vorrei tanto somigliasse a quella del villagio in cui Philippe Claudel ambienta lo splendido “Le anime grigie”.
Parlaci del tuo protagonista Roberto Serra e del suo “Appennino”. Uno straniero infondo, un estraneo che turba gli equilibri di una comunità in un certo chiusa, gelosa dei suoi segreti, dei vincoli che li lega. Un elemento in un certo senso disturbante. Era necessario nell’economia del racconto, il suo essere altro?
Lo straniero ha due funzioni: ha una visione imparziale ed è la variabile impazzita che sconvolge i sistemi chiusi. Roberto fa esattamente questo, anche se non ne avrebbe l’intenzione. Non dimentichiamo che lui a Case Rosse va per nascondersi.
Un alito di pietà soffia durante tutta la narrazione, per le vittime, per i colpevoli, per chi ha colpe da scontare, per chi fugge da se stesso e da un passato doloroso. Questa forse è la componente più struggente, sincera. La bambina spinge il protagonista ad andare in un terreno pericoloso come le sabbie mobili. A guardare prima dentro di sé poi nel buio più profondo. E’ stato difficile?
Molto. Se chi scrive comunque filtra il mondo che crea con la propria visione delle cose, in questo romanzo c’è molto di me. Nel bene e nel male. Ho odiato, scrivendolo. Ho amato, ma meno intensamente. E dopo la prima stesura, in un punto preciso della storia di Sfregio ho anche pianto.
Ti piacerebbe scrivere per il teatro?
A chi devo mandare il curriculum? Scherzi a parte, mi piace scrivere. Scriverei per il teatro, per il cinema…
Stai scrivendo un nuovo romanzo? Puoi anticiparci qualcosa?
Ho pronto un secondo romanzo con personaggi, ambientazione e trama completamente diversi. Sempre un thriller ma se in “Venti corpi nella neve” il sentimento forte di fondo è il desiderio di vendetta, in questo nuovo è la brama di potere. Molto probabilmente, però, non sarà il prossimo a vedere la luce… da alcune settimane ho iniziato a stendere la seconda avventura di Roberto Serra. Perché io non ho ancora chiuso i conti con le pagine più nere della nostra storia, e Roberto non li ha chiusi col proprio passato.
Tag: Giuliano Pasini
6 aprile 2025 alle 14:38 |
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