Grazie Remo di aver accettato la mia intervista e benvenuto su Liberidiscrivere. Iniziamo con le presentazioni. Sei nato nel 1956 a Cortona in provincia di Arezzo, ti sei laureato in Lettere all’università di Torino con una tesi in Storia del Risorgimento, scrittore, giornalista, direttore di "La Sesia", storico bisettimanale di Vercelli e provincia, vivi e lavori a Vercelli ormai da anni.Raccontati ai nostri lettori. Punti di forza e di debolezza. Chi è Remo Bassini?
Quando lavoravo e studiavo (lavoravo in fabbrica e per studiare facevo quasi 200 chilometri ogni giorno, Vercelli-Torino, andata e ritorno) ho imparato, col supporto di nicotina e caffeina, a dormire quattro ore a notte, anche a scommettere con me stesso, per esempio mi dissi: Se ti segano a un solo esame lasci perdere l'università. Non me ne andò male nessuno, addirittura mi sono laureato con 110. Lavoravo, studiavo quando potevo, avevo una bimba piccola di nome Sonia (sono sposato due volte, ora ho un figlio piccolo, Federico Libero) soffrivo di crisi convulsive (ora non più). E quando ero giù dio morale, romanticamente, pensavo all'Alfieri, fortissimamente volli. Poi, grazie alla mia determinazione, sono diventato giornalista, direttore della testata storica di Vercelli, infine scrittore. Ed ero fiero di tutto ciò, un po' (un po'…) lo sono ancora.. Ma nel 2005, era il 18 agosto, è morto mio fratello, Moreno, aveva trent'anni. Quando morì capii di essere stato stupido stupido stupido: avevo impiegato tutto il mio tempo per correre dietro alle mie ambizioni, mentre a lui, a Moreno, che era un ragazzo difficile, avevo elemosinato, anche con insofferenza, briciole del mio tempo. Quando morì Moreno, insomma, mi posi la stessa domanda che mi hai posto tu: Chi sei?, mi domandai, senza trovare risposta. Dal 18 agosto del 2005, comunque, ho imparato che tutto conta e niente conta. Conta vivere, con dignità, conta godersi una giornata al mare, una serata, una passeggiata da soli quando si deve riflettere. Non serve affannarsi a rincorrere.
Sei stato operaio, sindacalista, disoccupato, portiere di notte in un albergo, volontario in un carcere. Poi è arrivato il giornalismo. Una salvezza, un nuovo stadio di consapevolezza? Cosa ti ha dato il giornalismo? Quale è la più grande lezione da dare ad un aspirante giornalista?
Il giornalismo è un gran bel mestiere se lo si fa con coscienza e con coraggio. Servono entrambi, perché la coscienza serve per evitare di fare del male alle persone e il coraggio serve per sfidare i poteri forti e, se occorre, anche chi ti dà il lavoro e gli ordini.
Parlaci di una tua grande passione, che forse non tutti conoscono, il teatro. E’ vero che hai anche fatto l’attore?
Sì, e stavo per cercare di farlo come mestiere. Un giorno ho la possibilità di fare un provino, se lo passavo diventavo un attore vero. Lo stesso giorno il caporedattore del giornale che ora dirigo mi offrì un posto da correttore di bozze. Scelsi il giornale, pensandoci tutta una notte. Ma aver recitato mi è servito anche per elaborare un metodo mio di scrittura: nei miei romanzi, per esempio, la punteggiatura varia: quando voglio dare ritmo elimino le virgole, allungo i periodi.
Poi sei diventato romanziere, o meglio hai iniziato a pubblicare romanzi. Scrittore già lo eri ai tempi della fabbrica. Quali sono i tuoi maestri letterari?
Pratolini e Fenoglio, tra gli italiani, Remarque e Steinbeck tra gli stranieri. Poi ne sono venuti altri, come Berto, come Fitzgerald Scott, Izzo, Manchette. L'ultimo autore che mi ha conquistato è Richard Yates, da leggere e rileggere, ma il mio grande punto di riferimento, soprattutto da quando ho scritto (e mentre scrivevo) Bastardo posto è diventato Sciascia.
Hai esordito nel 2002 con Il quaderno delle voci rubate edito da La Sesia, in cui c’è molto di te: ricordi o meglio suggestioni della campagna toscana, le lotte sindacali, la vita in una redazione di un giornale di provincia. Tutto nasce dalle storie che hai raccolto facendo il portiere di notte, dalle persone che hai incontrato, insonni, prostitute, carabinieri. Di notte il tempo è sospeso, c’è più comunione, umana solidarietà?
La notte è il regno dei ladri e uno scrittore, di notte, può rubare storie: perché la gente – non dappertutto, ma per esempio in un albergo – si racconta di più, si confessa, quasi.
La provincia è uno scenario ricorrente nei tuoi libri. Se ti accostassero a Piero Chiara cantore della vita di provincia che effetto ti farebbe?
Mi piace Piero Chiara ma penso di essere molto diverso da lui: io sono uno scrittore o di ricordi (Il quaderno delle voci rubate e Vicolo del precipizio, il prossimo libro che dovrebbe uscire per Perdisa) oppure di temi che puntano il sociale e il politico. Certo, il mio punto di partenza sono la provincia e i piccoli centri, dove si sa tutto di tutti e dove è difficile nascondersi. Questa, credo, sia l'unica analogia con Chiara.
C‘è un profondo realismo nelle tue storie, un amore del vero, forse bagaglio indistricabile della tua vocazione di giornalista, anche quando crei storie, quando abbozzi personaggi. Questa concretezza, determinatezza l’ hai acquistata con il tempo o ti appartiene da sempre?
Penso che tutto è cominciato quando ho capito cosa vuol dire scrivere un libro. Scrivere un libro non significa solo raccontare una storia con un determinato stile. Scrivere un libro significa anche saper vedere colori o fare sentire odori a chi ti legge. Servono, insomma, “occhi da scrittore” che sappiano descrivere soprattutto il contesto, la scenografia insomma.
Nel 2006 pubblichi due romanzi Dicono di Clelia per Mursia e Lo scommettitore, per Fernandel. Ce ne vuoi parlare?
Dicono di Clelia penso sia un libro da riscrivere, insomma non è il mio miglior biglietto da visita. Ma contiene un messaggio della cui bontà credo ancora: e che cioè noi, uomini e donne, anche se ci inghirlandiamo, anche se assumiamo espressioni statuarie, siamo dei birilli: basta che succeda qualcosa di importante a una persona a noi cara e siamo travolti e magari travolgiamo altri, provocando così un effetto a cascata.
Lo scommettitore invece è un romanzo politico o, meglio, contro la politica e i politici di professione, la casta insomma.
Nel 2010 hai pubblicato Bastardo posto, per Perdisa Pop. Un libro difficile, scomodo per certi versi ostile in cui affronti il tema del male in modo spiacevole, cattivo, corrosivo. Un noir delle vittime. Si parla di sofferenza, di dolore, di fragilità. Crea disagio. Penso al Male oscuro di Berto. Ti è costato scriverlo in termini di energie emotive, ansie, frustrazioni?
La prima versione di Bastardo posto ha, soprattutto nel contenuto, analogie con il flusso di coscienza del Male oscuro di Berto. Il mio protagonista è pure lui fragile, si interroga, è una sorta di autoanalisi. Ma dal momento che si tratta di un giallo che tratta tematiche sociali ho, poi, rivisto quel flusso di coscienza iniziale, lasciandolo qua e là. Mi è costato scriverlo, sì: perché è un libro “contro”, contro la mancanza di coraggio della gente per bene e quindi è un libro, se vogliamo, anche contro me stesso: perché il coraggio che serve per stare dalla parte degli “ultimi” non è mai abbastanza. Su Bastardo posto voglio aggiungere una cosa: penso sia il mio miglior libro, migliore di quelli che ho scritto prima, migliore delle cose che ho scritto poi. A volte penso che non riuscirò mai a scrivere un libro migliore: e non è un bel pensiero, credimi.
Remo Bassini e la libertà. Per conquistarla e trattenerla cosa saresti disposto a sacrificare?
Tutto, ma non i miei figli.
Remo Bassini e l’editoria. Spesso denunci meccanismi perversi che la impastoiano, libri rifiutati, autori ignorati o sottovalutati, gente che fa di tutto per fare soldi, clientelismi. Niente si salva o c’è ancora speranza per le anime belle, per gli innocenti, per i puri?
Io dell'editoria conosco quel po' che ho incontrato e ho incontrato tanto aspetti poco piacevoli quanto invece positivi. E credo che i peggiori testimoni di questo mondo siano proprio gli scrittori: guardano al proprio ombelico, stop. Se un editore li pubblica e li valorizza è un grande editore, se un editore non se li caca nemmeno di striscio è un maledetto. Quello che manca, insomma, è la mancanza di chiarezza. Chi scrive, in ogni caso, deve sapere che è solo o quasi: e che deve insistere, credere in se stesso, studiare e poi ancora insistere.
Remo Bassini e Pessoa. Anche lui giornalista anche lui scrittore. In cosa vi somigliate letterariamente e in cosa siete dissimili?
Lui è un grande della letteratura, io, per dirla alla Pessoa, “non sono niente”. Ma, sempre per abusare dei suoi versi posso dire di pensarla come lui perché “a parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo”.
Uno scrittore sottovalutato e uno sopravalutato. Defunti così non creiamo gelosie e malumori.
Sai, io penso che di scrittori sottovalutati sia pieno il mondo, sono quelli che non hanno pubblicato, quelli di cui nessuno sa o saprà mai.
E più che di scrittori preferisco parlare di libri. Una volta un ragazzo di diciassette anni, madre prostituta, padre sconosciuto, dopo una lunga discussione con me sull'importanza o meno di essere istruiti, prima mi confidò che non aveva mai letto un libro, e poi mi domandò: Da cosa potrei iniziare? Mi vennero in mente don Milani (mi bocciai), Salgari (idem), la Tamaro (idem). Insomma, non seppi rispondergli. Oggi, lo dovessi incontrare di nuovo, gli direi, prova con Moccia. Io penso che i libri non appartengano più a chi li ha scritti, io penso che nessuno può dire che il tal libro è valido oppure no: perché un libro è un… incontro. E quindi: a me per esempio non piace Coelho, ma non dirò mai che Coelho scrive boiate pazzesche: sarebbe mancare di rispetto a chi lo legge e lo apprezza.
Vorrei farti arrabbiare, metterti in difficoltà. Cosa dovrei dire? Che temi dovrei affrontare?
Se ti dico che sono permaloso basta? Oddio, lo sono ma col tempo ho imparato a non prendermi troppo sul serio, quindi non so proprio.
Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi progetti futuri non solo letterari.
Io sono un clown e faccio collezione di attimi (Heinrich Böll).
Grazie Remo della tua disponibilità e buone cose per tutto Giulia
Buone cose a te Giulia e complimenti (da giornalista) per le domande: “scavano”.
9 marzo 2011 alle 2:28 |
Splendida, questa intervista. È vero queste interessanti e intelligenti domande scavano, ma hanno trovato un terreno disposto ad aprirsi, con onestà, generosità, umiltà. Hanno trovato, insomma, Remo Bassini.
Milvia