Recensione di “Lo Spazio Sfinito” di Tommaso Pincio a cura di Valentino G. Colapinto

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spazio_sfinitoIl sottile fascino del Vuoto 

“Lo Spazio Sfinito” Tommaso Pincio: 157 pp. in brossura, prezzo di copertina €13,50 [Minimum Fax, 2010]. 

Lo sapevate che, dopo aver attraversato più volte il continente americano facendo l'autostop, nel 1956 Jack Kerouac si fece spedire dentro una minuscola navetta per nove settimane nello spazio dalla Coca-Cola Enterprise come controllore orbitale? Oppure che il suo grande amico Neal Cassady si era innamorato perdutamente di Marilyn Monroe, quando ancora lei lavorava come orientatrice nelle librerie Quantum (prima che fosse licenziata perché troppo provocante)? E che a causa di uno scambio di persone lo stesso Neal perseguitò telefonicamente per mesi tale Norma Jeane Mortenson, triste moglie di un arido e tirannico Arthur Miller, a sua volta pezzo grosso della Coca-Cola Enterprise e superiore di Kerouac?

Ovviamente no, a meno che non abbiate già avuto la fortuna e il piacere di leggere “Lo Spazio Sfinito”, secondo e da tempo introvabile romanzo di Tommaso Pincio, tornato finalmente in libreria a dieci anni dalla prima pubblicazione grazie all'avvedutezza della Minimum Fax.

Tecnicamente parlando, qui ci troviamo di fronte a un'ucronia, ossia una storia alternativa, genere adesso sempre più di moda anche in Italia, ma che Pincio ha usato prima di tutti (o quasi) gli altri, rompendo come al solito i vecchi schemi dell'asfittico panorama delle lettere italiane.

Leggendo un suo libro, infatti, si ha spesso la bizzarra sensazione che si tratti della traduzione di un romanzo straniero, e non per il linguaggio (solo apparentemente) medio, quanto perché non esistono o sono rarissimi libri così in Italia.

Tutto farebbe pensare (dallo strano pseudonimo alla leggenda metropolitana che il vero autore mandi in giro in sua vece un amico a presentazioni e conferenze) che dietro quel bizzarro nom de plume si celi in realtà qualche scrittore americano, transfuga nel nostro Paese e con chissà quale misterioso passato alle spalle da cui fuggire.

Ma è solo un'illusione. Pincio è italianissimo anzi romano, anche se ha vissuto per un po' di anni a New York, dove ha avuto pure amici comuni con il suo quasi omonimo d'oltreoceano, e questo spiega sicuramente alcune cose.

Uomo di profondissime letture (mai troppo prevedibili), Pincio infatti è innanzitutto un cultore della letteratura americana, ossia della più importante letteratura dell'ultimo secolo e qualcosa, e dimostra di aver ben appreso la lezione dei suoi maestri beatnik e postmoderni.

Pubblicato un anno dopo M. (il suo romanzo d'esordio), Lo Spazio Sfinito appartiene al periodo in cui Tommaso Pincio viveva come un vagabondo del Dharma, alla maniera dei suoi eroi beat Kerouac e Burroughs, ed era ancora uno scrittore poco noto (la popolarità arriverà solo a partire dal successivo “Un amore dell'altro mondo”, 2002), ma è allo stesso tempo un romanzo di svolta, di cambiamento radicale e definitivo.

Passiamo, infatti, dallo sperimentalismo sfrenato di M. (1999), che tanto era piaciuto a certi critici letterari, a uno stile molto più piano (“quasi” ordinario), a una scrittura che si mette al servizio di una narrazione nella quale i piani della Storia e dell'Ucronia, del Sogno e della Realtà si intrecciano e si confondono senza tregua. Insomma, con lo Spazio Sfinito nasce il Tommaso Pincio che la maggior parte dei lettori conosce e ama.

A parte lo straniamento provocato dall'utilizzo di icone della cultura pop o della letteratura americana come protagonisti ucronici, la cosa che più colpisce è l'intensità emotiva di una scrittura che, con molto garbo e delicatezza, sa coinvolgere il lettore e commuoverlo.

A parere dell'Autore stesso, Lo Spazio Sfinito più che un romanzo è un piccolo poema in prosa. Un haiku postmoderno, un'operetta beat affascinante e melanconica – aggiungiamo noi – futuristica e old-fashioned allo stesso tempo, in cui tutti i personaggi sono afflitti da un'invincibile solitudine e una dolcissima mestizia, un incolmabile e splendido Vuoto, in cui vanno alla deriva come satelliti usciti dalla propria orbita.

Una lettura da non perdere. 

Valentino G. Colapinto

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