Angela Bubba è nata a Catanzaro nel 1989. Pur essendo una scrittrice così giovane ha già riscosso grande successo e la critica le ha già attribuito importantissimi riconoscimenti: ha vinto il Premio Verga nel 2006, si è classificata seconda al Premio Campiello Giovani nel 2007 e al Premio Italo Calvino nel 2008. Nel 2010 è stata inserita tra i dodici finalisti del Premio Strega per il suo primo romanzo, “La casa” (Elliot), presentato da Paolo Giordano (autore del celebre “La solitudine dei numeri primi”).
Il tuo modo di scrivere e inventare la lingua italiana è molto originale ed è stato subito riconosciuto come uno dei principali punti di forza del tuo romanzo d’esordio, “La casa”. Dove e come nasce l’idea di utilizzare un registro così ricco ed innovativo? E’ davvero una finzione letteraria, o fa parte del tuo vissuto, un po’ come il Lessico famigliare della Ginzburg? Credi che questo registro linguistico andrà a connotare le tue prossime opere,oppure lo immagini già radicato nella realtà della famiglia Manfredi, fulcro de “La casa”?
C'è sia finzione sia immaginazione in questo linguaggio. Non scrivo soltanto in questo modo, l'ho preferito per "La Casa" in quanto era l'unico che riuscisse a darle quella lontananza, quella sospensione necessaria. Non sono la prima a compiere questa operazione. Una grande maestra, non solo di scrittura, come Elsa Morante, mi ha insegnato a impastare i dialoghi le frasi gli aggettivi..tutto insomma!, a dare dignità al verbo umile come al più colto. Si tratta sempre di parole in fin dei conti, la cosa più "terribile"che esista ovvero. Per "La Casa" era necessario che venissero gestite, o meglio, fotografate, in questa maniere. Ogni libro vuole la sua lingua, è stata La Casa a scegliere.
So che alcuni lettori hanno osservato che ne “La casa” la trama risulta un po’ sfumata, rispetto alla grande forza stilistica e di linguaggio che rendono unico il racconto. Sapendo che ami molto anche la musica, ti chiedo: credi che la musicalità, il ritmo di un’opera spesso ne determinino anche il successo, l’efficacia?
Anche la parola può essere musica, certo. Prima di essere una lettrice di romanzi, io sono una lettrice di poesia, e la poesia appunto non si capisce se non si hanno le spalle i suoi architravi, eminentemente musicali appunto. "Musica" è poi un concetto veramente ampio, ingestibile per certi versi. Le frasi, e non solamente i versi, devono essere composte per me. Se voglio rendere solare un'affermazione, ad esempio, se voglio immettere una nota di purezza o felicità e gioia, certamente "sfrutto" il potere delle lettere, e sotto tutti i punti di vista.
Non so quanto questa accortezza possa determinare l'efficacia (in termini di vendite) di un'opera. Il gusto è anch'esso qualcosa di complesso, è duro lottare contro lettori (non tutti per fortuna) abituati a pagine "facili", dove la facilità (se così la possiamo chiamare) non è quella di un McCarthy (magari!, direi), quella facilità è banalità, è carenza. Ho avuto delle sorprese in ogni caso, soprattutto da parte di ragazzi molto più giovani di me, e questo mi ha emozionata molto.
Nel tuo romanzo traspare un certo affetto e attaccamento verso le proprie origini e verso la famiglia, la casa, cosa che colpisce sempre in un autore tanto giovane. Che importanza hanno nella tua vita le radici e il legame con il territorio?
La Casa non è un romanzo campanilistico, non ci sono tripudi della mia regione e quant'altro. La geografia anzi sembra qualcosa di accessorio, volutamente. L'epigrafe del libro non è altro che l'incipit di Anna Karenina infatti, siamo in Russia perciò, e facendo dunque capire che sì, stiamo parlando di una famiglia calabrese, con i suoi tratti tipici, con il suo marchio anzi, ma per il resto (azioni, reazioni, confusioni, accuse, scuse..) tutto rientra nel globale concetto di famiglia.
Certamente ha importanza per me il ricordo della mia regione, di ciò che mi ha dato e continuerà a darmi. Non sono tuttavia una persona faziosa, non sono una persona che antepone la sua origine alle altre. Tutto è misterioso, tutto è vergine ai miei occhi, lo è ancora la Calabria per certi versi, come molte altre terre.
Paolo Giordano è stato il tuo Sponsor al Premio Strega. Una curiosità: cosa hai pensato quando te lo hanno detto? Eri già un’ammiratrice del suo libro d’esordio, “La solitudine dei numeri primi”?
Ho immediatamente ringraziato Paolo per il suo sostegno, è stato un gesto che ho apprezzato molto. Non conosco troppo bene la sua scrittura per esprimere un giudizio, è in ogni caso diversa dalla mia.
Credi che il mondo editoriale italiano offra sufficiente spazio ai giovani e agli autori emergenti? Quale consiglio ti sentiresti di dare a chi si appresta a scrivere un romanzo per la prima volta?
Lo spazio per i giovani c'è, nel senso che se ci si sforza si riesce a trovare un editore che possa pubblicare. Il momento critico è quello successivo, quando il libro cioè va a finire sullo scaffale della libreria: come lo sistemeranno, chi lo comprerà, quanta visibilità gli verrà data? A chi scrive un romanzo per la prima volta non vorrei dare nessun consiglio, non sarebbe giusto. Dico solo che deve partire da una condizione a lungo covata, un dolore, la letteratura è dolore. Certe volte mi sconvolgo, sentendo alcuni autori che parlano della scrittura come se andassero a comprare un sacco di patate, la programmano come un'attività ordinaria, come una sorta di hobby. La letteratura, la scrittura non è un hobby, non è un hobby, lo scrivo per due volte. La scrittura è un po' quello che dice Platone nel Simposio riguardo all'amore: desiderio e ricerca dell'intero. A ciò si dà il nome di amore, io a questo do il nome di scrittura. Qualcosa di assolutamente, meravigliosamente demoniaco perciò.
Ottenere grandi riconoscimenti e il plauso della critica mette le ali o incatena, magari per ansia da prestazione, quella fantasia che tanto è stata importante nella tua esperienza e alla quale hai dedicato il tuo romanzo d’esordio?
La critica, come dire, fa parte del gioco. C'è chi fa il critico con purezza, chi meno. Personalmente cerco di trovare una mia critica, di essere io il mio primo severo giudice, di rodermi fino all'impossibile.
Amo ascoltare i consigli però, e tanti ne ho ascoltati, da molti anni ormai. Molti di questi sono stati utili, e sono stata io la prima a dire: Avevi ragione, grazie! Questo fa parte della crescita, del migliorarsi. Più difficile è parlare con un critico che urla senza neanche aver letto il libro, o lo ha letto a metà, lì non rimane che arrendersi, arrendersi alla mancanza umana.
Molti ti faranno domande legate alla tua giovane età. A me incuriosisce capire se il successo ottenuto nei concorsi cui hai partecipato abbia indirizzato la tua scelta universitaria. E’ stata una
scelta “obbligata” iscriverti a Lettere? Cosa ti aspetti dall’Università?
No, Lettere non è stata una scelta obbligata. In realtà era proprio la Facoltà a cui non volevo iscrivermi. Ricordo ancora quel mese, un mese rovente, poi quella certezza mi si presentò chiara, a un tratto, senza inganno. Fu una rivelazione.
Riguardo all'Università mi aspetto che migliori prima di tutto, non solo per gli studenti. L'Università è un vero e proprio mondo, e accanto alle cose belle ci sono le truffe, le furbizie, le cose non dette o dette male, le miserie..C'è la speranza comunque, quella non manca di certo. Il discorso, in ogni caso, sarebbe davvero troppo lungo.
So che sei anche una appassionata lettrice: ci sono autori a cui ti ispiri? Romanzi che hanno inevitabilmente segnato la tua crescita?
Tutti i romanzi mi segnano, anche quelli che reputo non belli. L'Isola di Arturo è però quello che sento cucito non nella pelle ma di più, nei globuli rossi, anzi nei quark dei miei globuli rossi. Non sono mai stata a Procida, quando ci andrò so che sentirò un'emozione più forte di quella provata sull'Acropoli di Atene, so che ci sarà qualcosa di magico e di estremo. Questa è una delle mie grandi (stupide forse) certezze.
D’obbligo, in chiusura, è domandarti se stai lavorando a nuovi progetti. Ci vuoi dare un’anticipazione?
Sì, ho a lungo covato questa nuova storia. Da un anno circa. Sarà tutto molto diverso da La Casa, o meglio, alcuni dati obbliganti della casa ci saranno, ma più come ricordo, come sfumatura. Non è ambientato in Calabria e non ci saranno i Manfredi comunque, loro non potrebbero vivere fuori dal loro rifugio.
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