Giulia Guida intervista Paolo Grugni per Italian Sharia

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paolo grugniBenvenuto, Paolo. Innanzitutto grazie per aver accettato questa chiacchierata su "Italian Sharia" per Liberi Discrivere. Non è semplice spiegare l'Islam, soprattutto per un uomo occidentale. Perchè ti sei avvicinato al mondo islamico? Quali strumenti hai usato per confrontarti con questa realtà?
Non ho affrontato tutto l’Islam. Ma solo un aspetto specifico: ovvero di alcuni casi in cui ha negato i diritti delle donne. E di come e perché lo ha fatto. E su questo aspetto ho concentrato la mia attenzione, le mie ricerche, i miei studi. Un lavoro che, compresa la stesura del romanzo, mi ha impegnato circa due anni.
Hai scelto di affrontare un tema molto dibattuto negli ultimi anni, la condizione femminile nell'Islam, proiettata nel contesto socio- culturale italiano, partendo da eventi di cronaca. Perchè questa scelta?
Rimasi molto negativamente colpito dal caso di Hina, la ragazza pachistana uccisa nell’agosto 2006. In quel momento stavo lavorando a un altro romanzo, ma cominciai a selezionare il materiale. Da quel momento l’idea è andata trasformandosi fino a diventare un’analisi del rapporto Islam – donne nei suoi casi di oppressione e di sopruso (senza dimenticare che si tratta solo di un aspetto e non dell’Islam in toto) e uno spaccato sulla condizione degli immigrati in Italia.
Credi che la visione occidentale dell'Islam sia troppo criminalizzata, che la percezione della comunità islamica sia distorta per alcuni aspetti?   
Credo che tutte le religioni condizionino negativamente le società cui appartengono. E di solito si tratta di società economicamente deboli, nelle quali il sacro ha presa facile, e questo perché se non si trova una soluzione da soli, si aspetta l’intervento divino. Nelle società più evolute economicamente (leggasi per esempio i paesi nordici) avanza il processo di secolarizzazione e si avverte molto meno il bisogno di un dio. La visione occidentale dall’Islam si basa su quello che dell’Islam vede e tocca con mano e di solito è una visione distorta. Faccio un solo esempio: spesso si pensa al velo (inteso come hijab, ovvero il foulard che copre i capelli) come simbolo di oppressione femminile, mentre, se portato volontariamente, va inteso come simbolo di identità culturale. Un modo di ribadire il loro essere musulmane all’interno di paesi che non lo sono.
Dalla prima metà degli anni '90 si parla di femminismo islamico: unire le istanze religiose e la parità dei diritti attraverso una rilettura dei testi sacri. Credi sia possibile?
Ho avuto spesso modo di ascoltare l’imam Yahya Pallavicini, vice presidente del Coreis, ribadire che il Corano e le sacre scritture, manifestano il massimo rispetto nei confronti delle donne e la loro eguaglianza con gli uomini agli occhi di Allah. Ecco, bisognerebbe ripartire da questo per far capire che l’Islam tiene le donne nella giusta considerazione, ma allo stesso tempo bisognerebbe capire allora da dove nascono i soprusi e perché.
Uno degli aspetti che alcune attiviste musulmane evidenziano è la differenza tra codici di legge, umani e soggetti ad errore e la sharia (trad: la strada che porta all'acqua), che è ispirata dalla volontà divina, perciò eterna e immutabile. E' una differenza che il tuo libro mette in luce?
Da sempre c’è un uso strumentale della religione attraverso la locuzione “Dio lo vuole”. E così si attribuisce alla volontà divina Dio ciò che in realtà gli uomini vogliono. Gli omicidi dei ragazze ritenute “non buone musulmane” si rifanno in realtà a un codice d’onore patriarcale violato dal comportamento delle figlie e ritenuto gravemente scorretto. E l’onta non può che essere lavata con il sangue. Ricordo che anche in Italia,fino all’agosto 1981, i delitti d’onore godevano di una legislazione favorevole, erano infatti puniti da 3 a 7 anni.
Al- Hibri, attivista di spicco per i diritti della donna musulmana, scrive: "Perché indossare un velo dovrebbe essere oppressivo e portare una minigonna liberatorio?" Femminismo islamico non vuol dire quindi emancipazione occidentale.
Mi rifaccio a quanto detto prima sul velo aggiungendo che non è diventato solo un simbolo di identità culturale, ma di rifiuto di alcuni valori occidentali. Al tempo stesso è la chiave di accesso al mondo esterno, ovvero permette alle donne di uscire di casa, cosa che potrebbe essere loro proibita se si rifiutassero di indossarlo. A proposito di minigonna, ricordo che ancora negli anni Settanta anche la sinistra italiana non vedeva di buon occhio le ragazze che la portavano. Mentre il velo, solo trent’anni fa, era quasi sparito. Gli abiti si caricano di valori che vanno molto al di là della moda, si legano alle contingenze storiche.
Hai parlato di Islam con l'occhio di un sociologo. L'attenzione alle dinamiche sociali è una tua caratteristica.  Lo scrittore di oggi è chiamato all'impegno?
La parola scrittore è ampiamente abusata e viene usata anche per persone che hanno scritto dei libri, cosa completamente diversa. In ogni caso, lo scrittore non può non essere chiamato all’impegno, anche se questo suo agire potrebbe di fatto non incidere realmente sul problema. La scrittura è un fatto politico, sociale, culturale.
Il Paolo Grugni di "Let it be", "Mondoserpente", "Aiutami" in che modo si collega a quello di "Italian sharia"?
L’impegno nei confronti della scrittura stessa e l’analisi del sociale. Io questo impegno lo chiamo “militanza linguistica”. Se non si vuole libri che infastidiscano, consiglio di stare lontano dai miei. Anche se, di solito, la gente che legge i miei romanzi trova il mio “pessimismo comico” piuttosto divertente.
Vuoi dare ai lettori di Liberi qualche informazione sul tuo nuovo lavoro, "Il chirurgo rosso"?  
E’ una storia ambientata tra dicembre 1976 e marzo 1977 e ricostruisce la storia del Movimento del ’77. Ma lo fa sotto la veste di thriller, infatti si tratta di una caccia a un terrorista nero che uccide una serie di donne per motivi che qui non posso ancora svelare. La stesura è appena finita e a breve inizierò quella di “Metastasi”, analisi di tutti i cancri che divorano la nostra società.
Ti ringrazio davvero per la disponibilità, Paolo. A presto.

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