Intervista a Enrico Pietrangeli

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D: Ami la letteratura underground?

R: E’ parte della mia formazione, non vincolante e tanto meno censurabile.

D: Definiscimi la parola libertà.

R: Te la descrivo: giovane, bella e assassina.

D: Credi nei valori politici o sei un disilluso come molti giovani?

R: Credo che, come per tangentopoli, il magma è già da tempo sotto gli occhi di tutti, ma stavolta un’intera e pressoché inetta classe politica sembrerebbe aver perso il timone o altri remano nell’occulto, ma la gente è stanca di processi in piazza. Occorre un concreto rinnovamento, non un ulteriore indebolimento del paese con seconde e terze repubbliche, questo è il punto. Da parte mia, non essendo più molto giovane, più che disilluso sono, a mia volta, preoccupato per i più giovani, soprattutto per l’irresponsabilità di un ipergarantismo che non può non rivolgersi contro, ma qui gli elementi da tirare in ballo sono altri e taglio!

D: Quale è il tuo libro che preferisci?

R: Il nuovo per poi nostalgicamente tradirlo col precedente ed essere ulteriormente ispirato a farne.

D: Quello che ti è costato più fatica scrivere?

R: La poesia in genere: una grande gioia ma anche un lungo cesello.

D: Hai conosciuto Bellezza, che persona era?

R: Dario? Una persona attenta e sensibile, un indagatore dell’animo umano sinceramente orbitante nel caos della vita. Un bambino maldestro e dispettoso, giocoso e pieno di piccole fobie. Un eccelso poeta, quello di “Invettive e licenze” e “Morte segreta”.

D: Che relazione c’è per te tra letteratura e cinema?

R: Una correlazione lontana, anacronistica, quella che intercorre tra simbolo e suono. Wenders con Rilke forse rende molto bene questa ancestrale corrispondenza. Le nuove muse, come pure le nuove tecnologie, ampliano questo spettro di connessioni oltre a rendere possibili nuove forme e modi di fare arte.

D: Un’ aforisma, la frase di una canzone, un proverbio che ti è caro.

R: Finché la barca va, lasciala andare… Te la ricordi, vero? …Tu non remare… Beh, è talmente azzeccata da essere una specie di motto nazionale.

D: L’uso della tecnologia nella scrittura che valore ha per te?

R: Rilevante, indubbiamente, mai vincolante e comunque presente e degno di attenzione ed opportuna ricerca.

D: Come hai scoperto di essere uno scrittore?

R: Attraverso la poesia, forse inconsapevolmente. Sono uno scrittore?

D: E la scrittura digitale, pensi sia il futuro?

R: Diciamo che si va in quella direzione, ma occorre ancora molto lavoro.

D: Hai letto Fahrenheit 451 dello scrittore americano Ray Bradbury? Che rapporto c’è per te tra la memoria e la libertà di esprimersi nell’arte?

R: Un grande libro ed anche ottimo film, Truffaut è un maestro, di quelli che lasciano il segno e, all’occasione, anche il titolo. Senza memoria viene meno la necessità di esprimersi nell’arte che sedimenta e filtra proiettando altrove. Il rapporto che c’è tra la memoria e la libertà di esprimersi è il perno dove ruota l’opera, dove la memoria resta l’ultima salvaguardia di esprimersi nell’arte e le opere, vittime del fuoco sacrificale, acquisiscono nuovo valore e spessore attraverso la personificazione.

D: Pensi che un libro può cambiare la gente e così il mondo?

R: Pensando con consapevolezza storica è impossibile affermare il contrario. Approssimandoci ai nostri tempi, vengono un po’ i brividi a pensarlo, perché i cambiamenti sono comunque traumi e non tutti dai risvolti positivi ma, soprattutto, perché sono in pochi a leggere.

D: Pensi che ci siano regole d’oro per sopravvivere tra agenti letterari, editori, sponsor, e lettori?

R: Non facciamo di tutt’erba un fascio, anche perché già lo sappiamo, porta sfiga a questo paese. Regole d’oro non ne conosco e neppure credo che esistano, giocano molte, troppe varianti nella vita, figuriamoci in quella di chi costruisce trame

D: Come pensi di preservare la tua indipendenza spirituale nell’attuale mondo letterario?

R: Col cuore.

D: Cosa stai leggendo al momento?

R: Diverse cose per diverse ragioni tra cui Cortazar, ma ho ripreso in mano anche Shurè. In questi giorni sto terminando i racconti di Pennacchi…

D: Pensi che Internet rivoluzionerà il mondo?

R: Perché, non è già accaduto?

D: Stai lavorando a qualche nuovo libro?

R: Sì, ho in ballo un contratto per un nuovo libro di poesie già firmato. A dire il vero, non era previsto ma, come tutte le cose impreviste, possono anche riservare piacevoli sorprese e, fin’ora, così è stato. Per i tempi di pubblicazione temo che bisognerà un po’ attendere, ma non troppo.

D: Puoi anticiparcene quanto meno il titolo?

R: Sì. S’intitola: “Ad Istanbul, tra pubbliche intimità”.

D: Ti piacerebbe vincere il Nobel? cosa faresti con l’assegno della vincita?

R: Cos’è? La Ventura ha assoldato anche te per il Grande Fratello? Tira fuori l’assegno e niente storie!

D: Hai letto Ibsen?

RE: Onestamente no, ma è impossibile non sentirlo spesso citato (anche la cultura ha le sue congreghe di oranti). Ho avuto comunque modo di apprezzare il suo dramma borghese rappresentato a teatro.

D: Preferisci scrivere romanzi o racconti?

R: Poesie. Purtroppo ne vengono sempre di meno ed impegnano molto ma, come per il vino d’annata, talvolta sono anche distillati tutt’altro che trascurabili.

D: Quale strumento di scrittura preferisci usare, la penna, il computer o la macchina da scrivere?

R: Li ho usati praticamente tutti in senso evolutivo. Prima la penna, poi la macchina da scrivere ed infine il computer. Oggi, chiaramente, prediligo il computer.

D: Hai relazioni d’amicizia con altri scrittori?

R: Sì, ne ho avute e ne ho tuttora. Le amicizie prescindono dagli scrittori e talvolta, per certe modalità, sono paragonabili agli amori, vanno e vengono, decantano, alcune tornano e, altre ancora, sono per sempre.

D: Durante la stesura di un libro tu preferisci occuparti della descrizione dei luoghi, della descrizione dei personaggi, o dei dialoghi?

R: La tentazione è sempre poetica e predilige l’indagine del cuore e le sue più segrete emozioni.

D: Quali sono le qualità tipiche di un buon scrittore?

R: Il segreto resta sempre quello di saper dosare le risorse, poi ce n’è sempre per tutti i gusti.

D: Qual è il significato del talento per te? Un dono o una capacità che si può aumentare con il lavoro?

R: L’uno e l’altro, naturalmente. C’è un processo d’integrazione, una consapevolezza piuttosto che un quantitativo sommare.

D: Hai un agente letterario? Per te è un amico, solo una relazione professionale, o vi lega un rapporto amore-odio?

R: No, non ancora. Dici che è tempo di provvedere? Sì, d’accordo, ma i sentimenti forse è meglio tenerli fuori, è sufficiente fiducia e stima, ti pare poco?

D: Quanto la musica incide sui tuoi testi?

R: Dipende. Nel caso del mio romanzo d’esordio, sicuramente molto.

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