
Verrebbe quasi da pensare che la solitudine e la malinconia siano indispensabili come l’aria, che abbiano un altro aspetto, non solo quello più evidente della sofferenza, ma che parlino un linguaggio da decifrare, da guardare dritto negli occhi, da comprendere, un compagno silenzioso che chiede di essere ascoltato, accolto, perché la ricompensa è una vita più piena e consapevole in cui le due metà (la luce e l’ombra) si abbracciano per ritornare Uno.
Non tutti ne siamo capaci, preferendo una chiassosa superficiale colonna sonora alle nostre vite, in cui ci distraiamo più o meno consapevolmente con falsi profeti, illusorie luci, ricompense ingannevoli. Per poi alla fine ritrovarci più vuoti, incompresi e soli di prima.
Salvatore Claudio D’Ambrosio ha uno sguardo delicato sul mondo, tanto da intitolare così la sua opera letteraria (intesa come prima raccolta di racconti), quasi un autoritratto capace di abitare prismaticamente più esistenze, più possibili vite e accadimenti, più destini, con la stessa grazia e comprensione, con la stessa accoglienza e dolcezza di chi si rimette fiduciosamente nelle mani di una incommensurabile Forza creatrice a cui ritornare.
L’Opera consta di venticinque racconti, venticinque vite, venticinque anime in cui D’Ambrosio riesce ad immedesimarsi con grande intuizione, con generosità e umanità come avesse vissuto ciascuna delle vite raccontate, convincendo il lettore sì da entrare in ogni singola storia, spesso delle volte amara e tagliente, a volte così dolce da non poter lasciare indifferenti. Un’umanità sfaccettata come il genere umano, in cui, come con un microscopio entrare nell’intimo, in cui tutto diventa prossimo, aderente, la pelle della vita.
D’altra parte la Vita è fatta di questo, di esseri umani che calcano questo pianeta e della cui maggior parte non sappiamo nulla, ma che si affannano, sognano, sperano, amano, odiano, nella durata stessa della propria esistenza come fosse un unico giorno infinito, in cui tutto può accadere e nessuno è preparato, ma che implica risposte in cui non esiste suggeritore per un happy end. Ci si butta dal precipizio, si cammina sul filo del funambolo, si gira il tamburo della pistola, e tutto può essere a nostro favore o contro. Ma i protagonisti dei racconti di D’Ambrosio sono uniti dal filo sottile della speranza, anche quando decidono di porre fine alla propria esistenza (vedi “Tra Buster Casey e Tom”) perché l’estremo gesto è compiuto con la speranza di una promessa che sarà realizzata, o un ringraziamento senza fine per un comune gesto di gentilezza (“Mi sei venuto a prendere a scuola”), oppure ancora il coraggio di “Questa sono io”, la cui protagonista affronta una situazione di un probabile isolamento sociale con coraggio, pagandone le conseguenze, ma garantendosi un futuro libero e maturo.
Tanta luce quanto buio. Anche nei personaggi scomodi dell’Opera troviamo esistenze con cui non vorremmo mai entrare in contatto, nella deviazione della loro violenza, delle aberranti giustificazioni date a comportamenti controversi (“Il toro – storia di una violenza”), perché anche le maleerbe popolano questa terra. D’altra parte come potremmo distinguere e scegliere, se non potessimo vivere di contrasti? Ecco D’Ambrosio accetta senza giudicare, espone senza compiacimento, ma pone con l’evidenza delle parole. Tutti soffrono, tutti gioiscono, sperando anche in un abbraccio di uno sconosciuto. La forza trainante di tutto è la fiducia, l’amore. E dunque, ritornare in carcere o ballare con le farfalle ha lo stesso peso importante dell’equivalenza. Perché la forma oscura che ci aspetta in fondo alla via siamo sempre noi, in attesa della comprensione, dell’accettazione, del rispetto, dell’abbraccio.
Salvatore Claudio D’Ambrosio, già autore di “Ho ancora gli occhi da cerbiatto” e “Frammenti di un cuore da cerbiatto”, entrambi editi da CSA Editrice, di sé dice … “Marito, papà di tre splendidi bambini, consulente privato presso un importante gruppo bancario nazionale, figlio, adottato, nero (o marrone, a seconda della sensibilità dell’interlocutore). Bancario per professione, sognatore per vocazione… “Vorrei continuare a scrivere sempre restando me stesso, senza ammiccamenti, senza mosse furbe. Non rinnego ciò che ho detto nel primo (libro), anzi, ma dopo la rabbia credo sempre ci possa e ci debba essere una reazione di amore”.
Tag: M. Elena Danelli, Salvatore Claudio D’Ambrosio, Uno sguardo delicato sul mondo
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