
Documenti, perizie mediche, scoperte e testimonianze sono i nastri con cui è avvolta la biografia di un santo eremita del XIX secolo, appartenente alla comunità maronita del Libano (comunità che era soggetta alla Chiesa cattolica romana ma con un rito proprio e una gerarchia autonoma, governata da un vescovo capo, chiamato patriarca, con sede a Bkerké).
Youssef – questo il nome di san Charbel Makhlouf da battezzato – era il più giovane di cinque figli. La sua famiglia, povera di mezzi, era ricca di fede e il futuro santo trascorse l’infanzia e la giovinezza lavorando come contadino e pastore nel suo paese di montagna;un ragazzo pio, onesto, semplice e sincero, incline alla contemplazione, alla solitudine. Mentre pascolava la sua mucca, si ritirava a pregare in una grotta che aveva trasformato in una cappella dedicata alla Vergine Maria, detta “ la grotta del santo”.
Quando raggiunse la maggiore età, che allora era 23 anni, una mattina all’alba Youssef lasciò la sua casa per farsi monaco senza avvisare nessuno, temendo l’opposizione della madre e dello zio. Egli si sentiva chiamare alla vita solitaria. Più volte chiese l’autorizzazione di diventare eremita, ma la risposta tardava, perché il superiore attendeva un segno di Dio per concedergli il permesso.
Nel 1875, all’età di 47 anni, in seguito al prodigio di una lampada che si accese nella sua cella, benché contenesse solo acqua e non olio, fu autorizzato a recarsi all’eremo del monastero di Annaya. La sua vita era una delle più austere. Nel convento e nell’eremo conduceva un’esistenza da prete-operaio, scegliendo sempre i lavori più faticosi e umili, la preghiera, l’ascesi e la mortificazione: tutto ciò gli meritò ”la fama di santo durante la sua vita e dopo la sua morte”.
Dopo 23 anni di eremo esemplare, “la mattina del 16 dicembre 1898, padre Charbel stava celebrando la santa Messa nella cappella, quando fu colpito da paralisi proprio al momento della grande Elevazione dell’ostia e del calice, mentre recitava la seguente preghiera secondo la liturgia maronita: ‘O Padre della Verità, ecco il tuo Figlio, vittima per compiacerti, accettalo, perché ha subìto la morte per giustificarmi… Ecco il suo sangue sparso sul Golgota per la mia salvezza. Accetta la mia offerta…’. Dopo otto giorni di agonia, padre Charbe morì il 24 dicembre, vigilia di Natale, all’età di 70 anni. La gloriosa biografia di San Charbel inizia il giorno della sua morte.
Dal momento della sua sepoltura, una luce intensa e misteriosa, visibile in tutta la vallata, si sprigionò dalla sua tomba per 45 notti. Il suo corpo ripetutamente riesumato, fu sempre ritrovato integro e flessibile e traspirò un liquido rossastro dalle proprietà taumaturgiche per 67anni, cioè dal giorno della morte fino al riconoscimento ufficiale della sua santità da parte della chiesa.
Per capire la causa dei fenomeni mistici associati al suo corpo, la sua salma sarà martoriata e analizzata da monaci, medici, laboratori di analisi, alla ricerca di una spiegazione scientifica a un fenomeno divino che cesserà solo con la beatificazione.
Quando già morto fu spogliato, scoprirono che padre Charbel sulla pelle nuda, oltre alla cintura di ferro che gli aveva lacerato i fianchi, indossava un secondo cilicio incollato alla pelle. Inoltre egli si serviva di sassolini per tenere fermo il cappuccio sulla testa e che gli procuravano dolore alla schiena quando dormiva e quando si muoveva. Nel sonno e nella veglia padre Charbel soffriva un martirio nascosto e volontario, mostrando sempre un volto lieto.
Tornando al suo cadavere, un ritorno non propio edificante, Dal 1898 al 1965 si ottiene un calcolo di circa due chili abbondanti di plasma al giorno, tenendo conto del fatto che la trasudazione è stata molto intensa in alcuni periodi, ma è diminuita gradualmente nel 1965.
Quanto riportato in questo agile libretto, ci lascia scoprire inusitati orizzonti di vita eterna nella nostra vita terrena. Campi di speranza, solchi di gratitudine, pozzi di meraviglie soprannaturali che surclassano quelle ancora inesplorate nel Pianeta. San Charbel ha avuto dunque due corpi, quello da vivente, martoriato fino allo stremo per via delle penitenze e le mortificazioni, e quello da defunto, un involucro composto di parti vivisezionate, analizzate, per comprendere la natura di quel sangue che da esso fuoriusciva copioso. Il nesso in questo miracolo va forse ricercato in quei lunghi giorni trascorsi tutto un cammino per trovare chi c’è già accanto. Le astuzie del demonio non prevalsero in un omino che mite come un dolce autunno, sapeva donare a Dio le Grazie di cui lo inondava. Possiamo pensare ad una quotidianità bieca, senza stimoli,piatta, di estremo disagio a causa della solitudine. Ma il cuore dove lo mettiamo? Se è collocato su di un altare, fisso sul Calice e l’ascolto della Consacrazione, possiamo arrivare a comprendere di quale dono immenso fu colmato San Charbel, che fu nascosto a molti da vivo, e seppe parlare di Dio anche da morto.
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