
Un drammatico prologo che si svolge a Napoli, nel febbraio 1993 con la signora Lucia Satriano che giace in un letto d’ospedale dopo la perdita del figlio, un bambino che desiderava con tutta se stessa e al quale voleva dare il nome di suo padre Giuseppe, morto giovane. Una donna percossa crudamente nel corpo e nell’anima, talmente sconvolta da rifiutare persino di vedere e parlare con il marito al quale imputa la causa dell’aborto. Con un repentino cambio di scena e un balzo avanti nel tempo di trentaquattro anni, la rincontreremo nel novembre del 2017, ormai sessantacinquenne, morta nel salone del suo appartamento a pianterreno di via Ninfa 3 , una traversa di via Raffaello al Vomero. Nell’appartamento aleggia un’atmosfera tetra, ma non è solo colpa della giornata d’autunno. Al commissario Tonio Buonocore il silenzio delle stanze, appesantite dai grandi e scuri mobili di antiquariato e dal cupo soggetto del grande quadro appeso alla parete, dà subito un’impressione sgradevole. Impressione rafforzata, dopo una prima occhiata al resto dell’appartamento, dal vuoto che salta all’occhio sopra i mobili. Insomma ovunque niente fotografie né soprammobili, i più classici testimoni di una vita familiare.Il cadavere della signora è stato ritrovato seduto su una poltrona di pelle dallo schienale alto, con il busto riverso sul ripiano della scrivania, con un cassetto spalancato in cui si scorgono della carte. Il suo braccio sinistra è posato in grembo mentre il destro pende, abbandonato. A terra, a pochi centimetri dalla sua mano, c’è una pistola di piccolo calibro. Sulla tempia destra della morta risalta, fra i capelli biondi tinti bagnati di sangue, il largo foro scuro dove è penetrato il proiettile. Annotato in penna rossa su dei post it gialli sparpagliati un po’ per tutta la casa un nome, il nome di un farmaco sperimentale usato per gravi e fatali patologie neurovegetative. La donna, considerata da tutti coloro che la conoscevano, una persona rigorosa, riservata, prudente ma intransigente, negli ultimi tempi appariva inquieta, scostante, soprappensiero. A detta poi di chi la frequentava, come la cameriera Raffalella Capasso, detestava il colore bianco che le ricordava un fatto molto doloroso della sua vita. L’ipotesi più scontata appare quella di una ricca e anziana vedova, senza figli e senza eredi diretti che non accetta la sentenza di un inesorabile morbo e sceglie di farla finita. Il magistrato infatti, suffragato dalla versione del medico legale, non ha praticamente dubbi sulla tesi del suicidio. La casa era chiusa. La giovane cameriera madre di tre figli, che veniva ogni mattina per due ore, non riuscendo a passare dalla porta d’ingresso chiave, si presume bloccata dalla chiave infilata nella toppa dalla sua padrona, dopo aver suonato più volte è riuscita faticosamente ad aprire la portafinestra del giardino ed entrare … Il commissario Tonio Buonocore viceversa percepisce subito qualcosa di anomalo in quel suicidio. E questo sarà un problema perché all’inquirente non basterà il suo pur straordinario intuito. .. Servono degli indizi o meglio prove e/o riscontri precisi per smontare la tesi che Lucia Satriano si è tolta la vita e avvallare un’indagine approfondita. Tanto che lui e la sua bella e bruna ispettore capo Lina Garzya, la tecnologica esperta informatica della sua squadra, dovranno impegnarsi alla spasimo e trovare il modo per convincere a non chiudere il caso il sostituto Pierannunzi che, sentite le diagnosi dei luminari medici curanti della donna, si è già lavato la coscienza. E invece, secondo Buonocore, alcuni particolari non quadrano: intanto, a suo vedere, perché qualcuno che ha deciso di suicidarsi prepara la sua cena senza poi mangiarla e si veste con studiata eleganza? E poi perché dal blocco di appunti della signora Satriano è stato strappato un foglio di carta ora introvabile? E perché prima di uccidersi, se l’ha fatto, non ha lasciato qualcosa di scritto per spiegare la sua decisione? Strano no? Bisogna confrontarsi con la realtà ma nessuno della casa e dei dintorni ha sentito lo sparo, o ha visto qualcuno o qualcosa. Insomma dopo aver interrogato la cameriera, il commissario verrà a sapere che la Satriano aveva divorziato da Mauro Mileti e in seconde nozze a cinquant’anni aveva sposato Osvaldo Lubrano, uomo molto ricco e affermato, proprietario della galleria dei Veli che aveva ceduto da tempo a Massimo Picone e morendo aveva lasciato alla moglie il cospicuo vitalizio concordato al momento della vendita sull’utile dell’attività. Buonocore è uno straordinario osservatore e un attento ascoltatore. Con l’indispensabile aiuto dell’ispettore capo Lina Garzya, setaccerà minuziosamente tutte le piste possibili, compreso scavare a fondo nel passato della donna. Per farlo dovrà chiedere particolari ad altri personaggi come il primo marito, un giornalista mai risposatosi dopo il divorzio, ai due medici, il neurologo e lo psichiatra che avevano in cura la Satriano, al nuovo gallerista forse collegabile a commerci poco puliti legati al sinistro quadro del salone e all’unica, pare, attuale amica della morta, una donna colta, molto preparata, conosciuta da poco, alla quale però aveva confidato la recente ricerca di una vecchia amica di gioventù, mai più frequentata. Perché la Satriano doveva ritrovarla? A causa di qualcosa di molto triste e grave che aveva appena scoperto? Sarebbe stata uccisa perché sapeva troppo? O forse perché sapeva troppo poco? O per il suo spietato e crudele egoismo? Uccisa, ma certo! Perché ormai c’è la certezza che si tratti di omicidio. E per risolvere il caso e scoprire il nome dell’assassino a Buonacore ormai basteranno pochi trascurabili elementi quali l’incertezza in una frase, una parola di troppo o magari un gesto istintivo, impossibile da trattenere. Ma anche un’espressione tormentata, celata a fatica possono regalargli una precisa sensazione che, se si rivelasse giusta, potrebbe consentirgli di arrivare alla verità. Una verità che lui ama sempre immaginare come il filo di un aquilone, carico di idee ancora confuse e vaghe intuizioni, sfuggito alla mano di un bambino. Destinato ad allontanarsi e sparire galleggiando alto in cielo, magari per sempre? Ma talvolta invece sarà un qualcosa, il vento o le correnti, a riportarlo indietro, riconsegnandoglielo con il suo prezioso carico. Pronto a fargli trovare la soluzione dell’enigma.Anche stavolta Luceri ci regala un perfetto giallo classico. Un giallo che, dopo la conclusione si è voluto arricchire anche, con un suo racconto “Un gusto un po’ amaro di cose perdute” . Un bel racconto a chiusura del libro con Buonocore in vacanza a Sorrento che, coinvolto dal suo albergatore nell’uccisione di notte, in una stradina del centro di una bella ragazza, risalirà scrupolosamente all’analoga morte di altre due ragazze per scoprire e incastrare il killer.
Enrico Luceri è uno scrittore italiano di gialli. Laureato in Ingegneria, lavora dalla metà degli anni ottanta in società di impiantistica per progetti. Appassionato di Agatha Christie, che è tra i suoi modelli letterari, e del giallo deduttivo, è autore di romanzi, di una settantina di racconti e di sceneggiature, oltre che di saggi sul cinema, tra cui Storia del cinema giallo thrilling italiano presentato a puntate sulla rivista Sherlock Magazine edita da Delos Books.Nel 2008 ha vinto il Premio Tedeschi. Pubblica articoli in appendice alla collana I Classici del Giallo Mondadori, nella sezione “I segreti del giallo.
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