:: Luciano Bianciardi – Il precario esistenziale, a cura di Gian Paolo Serino (Edizioni Clichy, 2015)

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bianParrà strano ma nel mondo delle lettere il peggior peccato di uno scrittore consiste nello scrivere. Il Nostro se ne asterrà, per quanto possibile: un pezzo di colore esotico a vent’anni, una cauta recensione a venticinque, a trent’anni, già intellettuale di successo, “curerà” libri evitando di scriverli o di tradurli. Due pagine di prefazione, tanto per mettere le mani avanti, mai elogiative, anzi limitatorie… Se il libro andrà bene suo il merito. Nel caso contrario, ci vuole assai poco a dar la colpa a chi ha lavorato. Se l’ammalato dovesse morire, si può, in coscienza, dare la colpa al curatore?

Un Bianciardi riscoperto, sottratto alle ombre di un’amnesia collettiva, o più che altro selettiva, riemerge da Luciano Bianciardi – Il precario esistenziale (Edizioni Clichy), testo a cura del critico letterario Gian Paolo Serino. Non un saggio critico (è un agile libretto di un centinaio di pagine, formato piccolo, composto da una nota biografica, una nota critica scritta da Serino e tante foto in bianco e nero, quasi evaporate, e citazioni, oltre a testi più ampi tratti dai suoi romanzi e articoli giornalistici e una bibliografia essenziale), più che altro un invito alla lettura, di un autore più commentato che letto, che ironia del caso forse oggi è più conosciuto per le sue traduzioni che per i suoi romanzi o saggi.
Porterà davvero a una rilettura di Bianciardi, la lettura e diffusione di questo testo? Questo non lo so, ma quello che è certo farà emergere una specie di senso di colpa, perché cosa c’è di più sovversivo che il pensiero di un uomo libero, non asservito alle logiche dell’industria culturale della nostra società dei consumi, in un mondo dove questo è la norma. Bianciardi visse ai suoi albori, all’inizio del boom economico degli anni 60, intuì il ruolo della televisione, veicolo principe di consumi indotti, e si trovò a fare delle scelte, anche etiche e morali, su come vivere il suo stato di intellettuale anarchico e non compromesso con le logiche di potere.
E sicuramente questo non gli è stato perdonato, allora come oggi. Il grande successo de La vita agra avrebbe potuto corromperlo, gli applausi ricevuti avrebbero potuto privarlo della forza morale necessaria a dire no, a negarsi a quello stato di cose. Bianciardi non si è piegato ma il prezzo che ha pagato in vita, (l’isolamento, l’alcolismo) e in morte, la dimenticanza, sono di memento a tutti coloro che preferiscono la libertà al successo economico e alla fama.
Ne è valsa la pena? Per alcune persone non è una domanda sensata, comportarsi così è semplicemente l’unico stato di cose possibile, l’unica via d’uscita.

Gian Paolo Serino, classe 1972, critico letterario e giornalista, fondatore di Satisfiction.

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