:: Nei suoi occhi verdi, Arnošt Lustig, (Keller, 2014) a cura di Viviana Filippini

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imagesTraduzione dal ceco Letizia Kostner

Tanti sono i libri che parlano dell’Olocausto per farne memoria. A loro si deve aggiungere Nei suoi occhi verdi del cecoslovacco Arnošt Lustig e ha per protagonista Hanka, una ragazzina ebrea di 15 anni. Hanka viene deportata ad Auschwitz – Birkenau con i genitori e il fratello Ramon, ma il destino li divide subito e per lei comincerà una vera e propria lotta alla sopravvivenza. Hanka si farà chiamare Bambola, dirà di avere 18 anni e di essere ariana. I suoi capelli sono ramati, gli occhi verdi e sul ventre ha una parola indelebile: Feldhure (puttana da campo). Per 21 giorni lei lavorerà bordello N.r. 232 situato sul fronte bellico orientale, con la paura costante di essere scoperta. La vicenda narrata da Lustig è l’esempio della cruda, dolorosa ma sensibile sincerità dello scrittore nel raccontare i drammatici fatti che accaddero durante la guerra. L’autore, anche lui un sopravvissuto alla deportazione, si addentra nella vicenda di Hanka/Bambola non solo per narrarci quello che questa giovane dovette subire, ma per dimostrare quanto siano diverse e contorte le menti umane. Il libro si muove tra il bordello Nr. 232, nato dalle ceneri del progetto del Lebernsborn, e i tempi post bellici dove il narratore, la Bambola e l’amico Adler cercano di ricostruirsi una vita. Nei suoi occhi verdi è un vero e proprio viaggio nell’inferno della guerra e nell’uomo, dove Hanka/Bambola ascolta molto e risponde lo stretto necessario. A parlare, come dei fiumi in piena, sono i diversi personaggi che intrecciano la loro esistenza con quella di questa giovane. L’Hauptmann Hentschel si confessa parlandole della guerra, della famiglia, della sua infanzia con un padre violento e del senso della vita e della morte. Ad un certo punto la narrazione ci catapulta nella casa di un rabbino, Gedeon Schapiro, dove Hanka trova rifugio dopo essere fuggita dal bordello. Qui l’uomo la accudisce dandole cibo e inizia un dialogo, che a dire il vero assomiglia più ad un monologo, nel quale il rabbino non si capacita della del fatto che l’uomo sia in grado di compiere del male verso i propri simili. Il suo interrogarsi sul perché di questo male è una tortura ed è come se ci fosse in lui un bisogno di trovare una spiegazione ad esso, per liberarsi da un tormentoso senso di colpa che non gli da’ tregua. Atroce, brutale e cinica è invece la mente di Sarazin, un altro ufficiale tedesco “cliente” della Bambola. Per lui odiare e uccidere sono lecite azioni. Questo individuo, dire umano mi risulta difficile, ad un certo punto dichiara il suo ripudio verso gli ebrei facendo capire che il contatto fisico con loro è inammissibile e inaccettabile. L’adolescente Hanka ascolta tutti e nessuno, tranne una persona, sembra davvero disponibile ad ascoltare lei così fragile nel corpo, ma forte nello spirito. Nei suoi occhi verdi di Lustig è un libro intenso dove il sentimentalismo non ha spazio, però le sue pagine raccontano con incisività la miseria della guerra e il male che gli uomini riescono a compiere verso i propri simili. Dal grigiore costante emergono gli occhi verdi di Hanka, essi sono lo specchio della sua anima e ci parlano, nonostante non dicano parole udibili, facendoci capire la sofferenza della protagonista, l’importanza del non dimenticare e la speranza costante nella vita.

Arnošt Lustig, nasce a Praga il 21 dicembre 1926, è uno scrittore e accademico, ceco ebreo internato a Theresienstadt nel 1942, poi a Auschwitz dove morì suo padre e infine a Buchenwald.
Riuscì a salvarsi scappando nel 1945 dal treno che lo stava trasportando a Dachau, approfittando di un bombardamento ai binari fatto dagli “Alleati”; fuggito, ritornò subito in Patria per prendere parte alla resistenza contro i Nazisti invasori. Terminata la Guerra, studiò Giornalismo presso l’Università Carolina, la più prestigiosa del Paese, poi fu assunto dall’emittente radiofonica locale Radio Praha, incarico che però lasciò quasi subito per recarsi nel nascente Stato d’Israele a combattere per l’indipendenza nelle file dell’Haganah. Tornò poi nuovamente nella Cecoslovacchia nei difficili anni settanta (il 1968 è infatti l’anno della tristemente nota Primavera di Praga); lasciò quindi per la seconda volta volontariamente il Paese per recarsi in Israele prima, poi in Iugoslavia – altra zona politicamente instabile – e infine, nel 1970, negli Stati Uniti, accettando un posto da professore all’American University di Washington DC.
Con l’inizio del crollo del Comunismo in Europa, nel 1989 si recò per l’ennesima volta in Patria, alternando tuttavia il proprio tempo tra Praga e Washington. Nel 1993 dalla scissione della Cecoslovacchia nacquero Repubblica Ceca e Slovacchia, a Lustig venne dato il passaporto ceco. Nel 2003 ha lasciato il suo posto all’American University per tornare definitivamente in Patria, dove il Presidente Václav Havel lo ha onorato come esponente di spicco della cultura nazionale in occasione del suo ottantesimo compleanno, nel 2006. Nel 2008 è stato insignito del Premio Franz Kafka, assegnato precedentemente al connazionale Ivan Klíma, sicuramente il premio letterario più illustre sinora conferitogli.

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