:: Recensione di Imposta alla carne di Diamela Eltit – (Atmosphere libri, 2013) a cura di Lucilla Parisi

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imposta alla carnePresentato al Salone Internazionale del libro di Torino 2013, il libro  Imposta alla carne della scrittrice cilena Diamela Eltit rappresenta una delle novità della vasta produzione letteraria del Paese sudamericano, che in uno spazio a esso dedicato (Spazio Cile), ha visto avvicendarsi i libri degli scrittori  Diego Munoz Valenzuela e  Ramòn Dìaz Eterovic (sempre editi da Atmosphere libri) e della scrittrice Lina Meruane (Sangue negli occhi, edito da La Nuova Frontiera).
Già autrice di numerosi lavori in patria, Diamela Eltit si affaccia al mercato editoriale italiano con il suo ultimo spiazzante romanzo, in cui viene affrontato – in modo del tutto originale – il tema della sopraffazione dello Stato-potere (che qui ha ancora il ricordo della recente dittatura) sugli individui.
La vicenda, narrata con un linguaggio spesso oscuro, racconta di un rapporto mai interrotto tra una madre ed una figlia – intrappolate l’una nel corpo dell’altra – vissuto all’interno delle mura di un ospedale, in cui medici spietati le sottopongono ad ogni tipo di cura invasiva, al limite con la sevizia fisica e psicologica.
Medici interessati a indagare gli organi interni delle due donne segnati dal tempo, per riportare in essi l’ordine fissato da rigidi protocolli. L’epurazione del diverso, dell’anarchia, della colpa diventa la missione di questo Stato-ospedale, incurante della dimensione umana della malattia e dell’imperfezione dei corpi, necessarie quanto la vita stessa.
Una narrazione delirante in cui il potere della nazione divora ogni cosa, divora le parole e la libertà di espressione, annienta le volontà e riduce gli uomini in malati terminali incapaci di autodeterminarsi.

Dovresti essere stupida, o ritardata, mi dice mia madre per profanare la bolla storica della nazione, del paese o della patria medica, quindi te lo ripeto, chiudi quella bocca e lasciali in pace, che facciano quel che vogliono, come gli pare. Noi siamo qui per consentire e persino favorire che continuino a trattarci come sottopazienti o sottospecie”.

Il monologo incalzante della figlia fa presa sul lettore sino a trascinarlo in una dimensione folle, a tratti onirica, in cui prende forma la ricostruzione metaforica dei duecento anni della storia del Cile  e in cui i corpi bicentenari delle due donne si fanno portatrici di verità sconcertanti. Il tutto per sopravvivere al massacro dei loro corpi e per riconquistare una libertà di agire assediata dal controllo di un insano potere.
Il romanzo è stato scritto nel 2010, anno della celebrazione del Bicentenario dell’indipendenza dell’America Latina.” Come ci spiega la curatrice per l’Italia del romanzo Laura Scarabelli nella postfazione al libro, “L’autrice, attraverso i corpi delle sue protagoniste, intende meditare sul destino di un Continente a duecento anni dal suo affrancamento dallo statuto di Colonia”. Un ricordo che fa da sfondo “allo scenario cileno contemporaneo ancora impegnato nella difficoltosa elaborazione della dittatura di Pinochet, un regime oppressivo e sanguinario, con fasi di esplicita repressione delle voci fuori dal coro”.
Un testo non facile che impone al lettore di sacrificare la linearità di una normale narrazione, per adottare dei criteri di lettura e giudizio mobili e fuori da ogni schema, senza ricercare un significato altro rispetto a quello che affiora dalla caoticità e intensità delle immagini descritte.
Un romanzo non per tutti, ma coraggioso nella sua unicità.

Diamela Eltit è una delle scrittrici più audaci dell’America Latina ed è molto apprezzata per le sue iniziative d’avanguardia nel mondo delle lettere. Eltit ha iniziato il suo impegno con la letteratura nel suo nativo Cile durante gli anni della dittatura di Pinochet, pubblicando i suoi apprezzati primi romanzi, Lumpérica (1983) e Por la patria (1986). Da allora ha pubblicato, tra gli altri, El Cuarto Mundo (1988), El Padre mio (1989), Vaca sagrada (1991), Los vigilantes (1994), Los Trabajadores de la muerte (1998), Mano de obra (2002), Jamás el fuego nunca (2007) e Impuesto a la carne (2010). È stata premiata più volte da organizzazioni internazionali e ha ricevuto il prestigioso premio Iberoamericano de Letras José Donoso nel 2010.

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