C’è chi cerca metafore ardite, arzigogolati sotterfugi lessicali, sprazzi di citazione illustre che si mescolano a un’idea della vita (e della poesia, immagino) che sa di pagine patinate, sporcate ad arte, finte.
Ci sono poesie che sanno di muffa, altre che la muffa la implorano.
E poi ci sono poesie che profumano davvero del “cielo sopra i sogni”, nelle campagne antiche, intatte, intorno alla cittadina di Pontedera, in provincia di Pisa, vicina al mio sentire anche per ragioni meramente geografiche.
Gerry Gherardi, autore pontederese de “Il quadro del mondo”, poco più che trentenne, ma già letterariamente assai maturo, pennella, con la sapienza dello sceneggiatore esperto – lo è, oltre che doppiatore – squarci di vita semplice, scorta attraverso la lente sognante di un finestrino, ingrato amplificatore di ricordi (“Dal treno il mare/ al finestrino/ coperto da un velo”) o nella pienezza materica di un’estate assolata (“Galleggia/ nei campi d’oro/ un cappello di paglia/ sotto il cielo sereno”).
Torna a intervalli regolari l’estate calda, quella natia, nei versi di Gerry, talvolta raggianti, altre volte sopiti nella sonnolenza del mattino, di un farfalla, raccolta su un fiore: “ Il respiro del tempo,/ come un soffio di vento/ muove le tende bianche/ una mattina d’estate”.
Ma ci sorprende, in questo quadro i cui rimandi si collocano nelle “piccole cose”, cantate da Umberto Saba, ispirazione implicita dell’autore, secondo chi scrive, il guizzo surreale di “Alice e Pinocchio”, un incontro impossibile che si sincopa sul finale dapprima speranzoso, infine vano : “Babbo,/ c’è una bimba innamorata/ con un vestitino blu,/ corre dietro ad un coniglio/ poi scompare,/ mi chiama/ ma non la vedo più”.
E poi ancora l’oro del grano, della paglia, sorta di fil rouge della silloge poetica di Gherardi, l’oro che galleggia, che dà ristoro agli amanti esausti, che tiene al sicuro la memoria dagli inverni trascorsi, che ritrova “il tempo/ dei tuoi vestiti leggeri,/ come petali di fiori/ ai piedi di un divano”, chiosa evocativa del componimento “Da lontano”, forse il più riuscito della valida raccolta.
E’, nella mia analisi, un percorso all’interno della memoria dell’esistenza, quello che compie l’autore de “Il quadro del mondo”: le sensazioni estive, spensierate quanto lo può essere la nitida consapevolezza del tempo, sfuggente come la maturazione di una spiga di grano, si stemperano all’interno della sera, dell’età adulta, delle responsabilità, del cemento metropolitano, colorato di un’ambra che non è quella dei bei campi della giovinezza.
E’ già autunno, dunque, e “per la strada nessuno,/ solo quel gatto/ sul tondo di un ceppo, […] a sonnecchiare”.
Gerry Gherardi nasce a Pontedera un sabato d’agosto del 1978 alle 9,30 di mattina, faceva caldo e tutti erano in ferie. Frequenta quindi l’Accademia Musicale Toscana sotto la guida del Maestro Franco Ceccanti e successivamente a Roma segue i corsi alla scuola di teatro “Ribalte”, di Enzo Garinei e debutta con Francesca Draghetti in “Terapia di gruppo” di C. Durang, primo spettacolo di una lunga serie che sancisce una lunga collaborazione. Doppiatore e sceneggiatore mette in scena due monologhi teatrali e una parodia per quattro attori. “Il quadro del mondo” è il suo primo libro.
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