:: Recensione di L’ereditiera americana di Daisy Goodwin (Sonzogno, 2013) a cura di Elena Romanello

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sonzognoI classici sono qualcosa di eterno e di sempre amato e attuale, e rifarsi a loro in letteratura non sempre è una cosa facile. Ma in qualche caso la ciambella esce con il buco, come in L’ereditiera americana, della giornalista inglese Daisy Goodwin al suo debutto come scrittrice.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’aristocratica società inglese, nobile ma decaduta e senza mezzi, si rivolse verso i nuovi ricchi d’oltre oceano, stringendo alleanze anche matrimoniali, con particolare attenzione per le ereditiere americane, ambite per il loro patrimonio che poteva risollevare destini e famiglie ricchi solo del loro titolo.
Questo mondo è stato raccontato da Henry James e da Edith Wharton, ed è da questi due modelli che parte l’autrice, narrandoci la storia di Cora, ricchissima figlia e nipote di miliardari a stelle e strisce (ma suo nonno ha costruito la sua fortuna partendo dall’umilissima condizione di garzone di stalla), innamorata da sempre del giovane aspirante artista Teddy, che accetta però la proposta di matrimonio di Odo, un duca decaduto, trovandosi in un mondo nuovo per lei e dove non tutto è quello che sembra, e dove non mancheranno amarezze e dispiaceri.
Un libro impeccabile, e come ricostruzione storica e ambientale, e come atmosfera, e come storia, visto che non fa l’errore di molta narrativa storica di introdurre anacronismi nel comportamento dei personaggi e situazioni che poco centrano con il modo di vivere di quel tempo. Una storia che riecheggia i modelli di Edith Wharton e Henry James ma riuscendo ad essere originale, immergendo in un mondo spietato ma affascinante ultimamente diventato di gran moda grazie al successo dello sceneggiato cult inglese Downtown Abbey, anche se qui siamo alcuni decenni prima, con echi di un altro famoso serial britannico, Su e giù per le scale, che andò per la maggiore tra gli anni Settanta e Ottanta.
Accanto al personaggio di Cora, ingenua a tratti ma non sprovveduta, sorella minore ma più forte di una Daisy Miller o di una Lily Bart, sfilano vari personaggi, tra cui ne spicca uno: Bertha, la cameriera di colore della ragazza, sua confidente, vittima della segregrazione razziale negli Stati Uniti e stranamente più libera nell’ultra classista Inghilterra, dove alla fine nessuno bada a lei perché non appartiene all’aristocrazia, arbitro di eleganza e al centro di tutte le chiacchiere e i pettegolezzi.
Un ritratto d’epoca riuscitissimo e appassionante, che non nasconde e soffoca una vicenda appassionante, tra balli, cavalcate, ricevimenti, scene quotidiane, per restituire un mondo che non manca di colpire e avvincere il pubblico moderno di oggi, che magari non vivrebbe allora, ma che sente il suo fascino, tra sfarzo, riti, atmosfere.
Un’unica domanda: ci sarà un seguito? Il finale è ambiguo, e anche questo è in stile Henry James o Edith Wharton, con delle aperture ma se si vuole anche con una sua conclusione. In ogni caso un libro da leggere, soprattutto per chi in un romanzo storico non cerca pura evasione e il solo intreccio sentimentale, ma la restituzione di un’epoca così lontana ma ancora così vicina.

Daisy Goodwin ha studiato a Cambridge e vive a Londra. E’ produttrice di programmi televisivi e ha curato numerose antologie di poesia. Scrive regolarmente per “The Sunday Times”. E’ sposata e ha due figlie. Con L’ereditiera americana, il suo romanzo d’esordio, ha conquistato il pubblico inglese e quello degli Stati Uniti.

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