:: Recensione di La donna di troppo di Enrico Pandiani (Rizzoli, 2013)

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la-donna-di-troppo-pandianiDopo Pessime scuse per un massacro, più recente episodio della saga dedicata al commissario Jean-Pierre Mordenti e ai suoi Les Italiens, che comprende anche Les Italiens, Troppo piombo e Lezioni di tenebra, Enrico Pandiani, il più francese dei noiristi italiani, torna al suo pubblico, sempre per Rizzoli, con La donna di troppo, una storia questa volta interamente italiana, che ha per protagonista un “nuovo” personaggio, nato in un racconto dell’autore ambientato nel Veneto, Zara Bosdaves, ex sbirro, trasferitasi da Vicenza a Torino per cambiare vita e aprire un’Agenzia investigativa privata, oltre a cogestire con il suo nuovo compagno François, Le Cosmopolite, Le Cosmò per gli habituè, locale molto popolare, ricavato da un antica fabbrica, tipico esempio di come a Torino le vecchie architetture industriali, di un passato che sta scomparendo, si stiano rapidamente evolvendo in nuove strutture “creativamente” interpretate.
E se vogliamo proprio Torino, la mia Torino multietnica e culturalmente vivace, in cui tutti leggono “La Stampa”, fatta di musica tribale dei locali lungo Po ai Murazzi (e c’è tanta musica in questo romanzo, da Today’s the Day di Aimee Mann, a Living is suicide di Dax Riggs) e di bancarelle sotto i Portici dove si comprano dai cappelli di lana peruviani, all’incenso, ai libri, con i suoi tram che passano sferragliando e i negozi chic di Via Roma, forse un po’ ingrigita dalla crisi, ma animata da quel particolare melting pot culturale ed etnico in cui convivono lingue di tutte le nazionalità, (dai dialetti nigeriani, a quelli arabi, al rumeno, al francese forse più comune dello stesso piemontese), ristoranti libanesi, kebaberie, Hammam, – Torino ha una delle comunità islamiche più vivaci e culturalmente attive di Italia e il mercato di Porta Palazzo non ha niente da invidiare al più affollato e industrioso suq arabo – è la vera protagonista di questo noir, più cattivo, realistico, politicamente scorretto di molti romanzi in cui la violenza troppo esibita diventa quasi sempre farsa poco credibile.
Era dai tempi de La donna della domenica di Fruttero e Lucentini (sempre una donna nel titolo) che Torino non assumeva questo ruolo cardine in un romanzo di delitti e indagini, con i debiti distinguo: allora erano gli anni Settanta, la gente era ancora gioiosamente naif e l’umorismo e l’ironia garbata di Fruttero e Lucentini, pur criticando velenosamente una Torino bene, borghesemente impaludata, conservava un tono leggero e malinconicamente divertito.
In La donna di troppo, Pandiani sembra invece tener presente la lezione scerbanenchiana e trasforma Torino in una città noir, in cui i delinquenti spiccano per pochezza e volgarità, anche se non mancano di leggere Saramago, i poliziotti, seppure sappiano fare il loro lavoro, arrivano a picchi di sgradevole razzismo come non accettare che una cameriera magrebina li serva, e i ricchi e potenti, kitsch e di cattivo gusto anche vestiti d’Armani, con i loro meschini segreti e le loro trame venalmente riconducibili a giochi, più che di potere, di gretta avidità, non assumono alcuna connotazione di grandezza o superiorità.
E poi c’è  Zara Bosdaves, personaggio femminile forte e fragile al tempo stesso, dal viso bello e segnato, che adora l’insalata alla nizzarda e i gelati Pepino, e gira per Torino in bici, madre di una figlia lontana, all’estero per studio, figlia  di un padre difficile, amica, socia e amante di François, idolo pagano dalle labbra color dell’ambra, un nero di un metro e novanta, che non facciamo fatica a immaginarcelo con il suo dolce e sensuale accento francese. Zara con i suoi sobri e femminilissimi tailleur, forse troppo stretti, e non certo dei sarti più famosi, vestiti per cui farebbe follie arrivando ad invidiarli addosso alle ricche e algide clienti, forse unica sua debolezza, perché se anche fa un lavoro per lo più squallido come dare la caccia a mariti fedifraghi, non rinuncia ad essere donna, sexy e seducente.
Il primo capitolo si apre con uno squarcio di Torino dopo la pioggia, la protagonista sorseggia un cappuccino sotto gli ombrelloni del Caffè Elena. Sullo sfondo i portici di Piazza Vittorio, il ponte che porta alla Gran Madre e alla Collina che con le sue ville antiche e moderne dei nuovi ricchi domina la città. Uno strano incidente d’auto e la gente accalcata lungo gli argini che si affacciano sui Murazzi. La vittima è Leone Dalmazzo, ricco industriale farmaceutico. Zara ci passa accanto recandosi in ufficio e non sa che presto farà parte della vita della sua ex moglie, di suo figlio. Infatti poco dopo Lucrezia Hongran si reca da lei cercando il suo aiuto. Suo figlio è scomparso e Zara deve ritrovarlo. Ma poi le cose si complicano e il ragazzo ricompare chiedendole di indagare sulla morte di suo padre, convinto che dietro la sua morte ci sia il controllo della Global Medica. E’ l’inizio di un caso complicato e crudele, di cui il ragazzino era il fulcro attorno al quale ruotava tutta quella storia, come pensa Vinardi, un tipico intrigo della Torino bene, come direbbero annuendo Fruttero e Lucentini.
Per narrarlo Pandiani sceglie la terza persona, ci racconta da fuori la vita complicata di Zara, le mosse degli antagonisti, i piani dei ricchi e potenti, il lavoro dei poliziotti intenti a sgominare un traffico di droga. E poi morti ammazzati, aggressioni nei parcheggi sotteranei di Piazza San Carlo, scambi concitati di telefonate, fuggiaschi, ville abbandonate, poliziotti leali che fanno favori ad amici e altri ossessionati dalle loro indagini e pronti ad usare anche metodi illeciti.  Il tutto sorretto da una fitta tela di dialoghi, ossatura portante del romanzo, lezione imparata dai grandi del noir, in cui i personaggi partecipano all’azione direttamente, interagendo tra loro e non lasciando prevalere la narrazione espositiva e descrittiva. Pandiani è un rude scrittore dal cuore tenero e sebbene utilizzi anche un registro basso, quasi volgare quando descrive per esempio i rovelli di coscienza di Zara, o i due Jacono e Vinardi, quando si distrae ne emerge il lato sentimentale e poetico, la prosa letteraria elegante, come quando descrive la luce azzurrina che illumina Torino, o la tenerezza di François verso la sua donna.
Concludo segnalando una piccola vanità autoriale, un vezzo se vogliamo come quello di Hitchcock di fare sempre la comparsa nei suoi film. Sarà difficile non vedere in Paolo Artaban, con il suo aspetto elegantemente trasandato – basterebbe già questo a  caratterizzare e rendere indubitabilmente certo il riconoscimento – la pipa estratta dalla tasca, i folti capelli castani, la fronte ampia, il naso importante, la bella bocca, scrittore con “parecchi lettori entusiasti”, la copertina rossa con sopra un bersaglio della polizia a sagoma umana,(date un’ occhiata alla copertina de Les Italiens) un alter ego oscuro dell’autore, ma fate attenzione a non affezzionarvici troppo a questo personaggio, farà parte di uno dei tanti colpi di scena che compongono il libro. (Avverto che durante la lettura del romanzo ho mangiato diversi variegati al caramello, mancandomi i Pinguino di Pepino alla vaniglia, effetto collaterale del tutto incontrollabile).

Enrico Pandiani (Torino, 1956) è autore della saga dedicata a “Les italiens”, il cui ultimo capitolo è Pessime scuse per un massacro (2012, ora disponibile in Bur).

2 Risposte to “:: Recensione di La donna di troppo di Enrico Pandiani (Rizzoli, 2013)”

  1. Avatar di wolfghost wolfghost Says:

    eheheh buoni i variegati! 😀
    Interessante libro, e ottima recensione, come sempre. Mi è piaciuta molto la presentazione di Torino 🙂
    http://www.wolfghost.com

    • Avatar di Shanmei liberdiscrivere Says:

      aheheh buoni davvero, ho collezionato tutti gli stecchini mettendoci la data in rosso come ricordo, lo so sono una sentimentale 🙂
      grazie Wolf, è un bel libro per conoscere Torino, c’è un po’ di mio, essendo Torineisa, ma davvero il libro ti porta a fare un tour noir per la città, dal mercato di Porta Palazzo sotto l’orologio del mercato coperto, al Valentino, al GAM il museo di arte moderna a Piazza Vittorio con i suoi portici, al parco della Rimembranza, alla collina con le sue Ville. Se non ci sei mai stato devi venire a visitarla ti offro un gelato Pinguino di Pepino 😀

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