:: Intervista a Massimo Tallone a cura di Viviana Filippini

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Ciao Massimo piacere averti qui a Liberidiscrivere per parlarci, anzi, scriverci un po’ di informazioni utili sul tuo ultimo giallo Il fantasma di piazza Statuto, ma prima di parlare del libro pubblicato dalla editrice e/o raccontaci un po’ di te.

Grazie, Viviana, per l’ospitalità su questo poderoso blog! E veniamo alla domanda. Di me posso dire che amo sopra ogni altra cosa il divertimento che deriva dalla concentrazione (come capita ai bambini quando giocano, per capirci). Ricordo che quando lavoravo in un laboratorio chimico cercavo sempre di accedere alle nuove tecniche, per sentire quello stimolo, quel rapimento, per non annoiarmi. Ma intanto scrivevo, perché è nella scrittura che ho davvero incanalato questo mio torrido vizio, questa vocazione alla fatica che diverte. Elaborare trame, ideare situazioni, allestire strutture narrative; e poi lavorare sulle parole, dosare gli effetti, cercare la precisione lessicale, curare il dettaglio visivo; e infine passare alla meticolosa revisione del testo, riga per riga, prima di consegnare il tutto all’editor, è da sempre la mia più alta forma di piacere, tanto più alto quanto più intensa è stata la concentrazione (ovvero la fatica) dedicata al testo.

Quali sono i modelli letterari ai quali ti ispiri?

Da giovane ho amato i russi e ricordo che a sedici anni volevo scrivere come Dostoevskij (fui folgorato dall’Idiota). Poi so’ di aver amato, in quel modo che crea emulazione, Simenon, e poi Steinbeck, e poi Kafka, come tutti, credo. Ma anche Manganelli, e Landolfi, per dire… E poi giunse Nabokov, che sta lassù, sul mio podio privato. E poi Banville… E Rabelais… Ho avuto però la fortuna, via via che componevo i miei primi lavori, di essere sempre stato abbastanza consapevole del debito che stavo pagando, ovvero di capire su quale stile, su quale autore, mi stavo allineando. E pagato il debito, eliminato quell’esercizio ‘alla maniera di’, organizzavo un nuovo lavoro, alla ricerca della mia vera voce, del mio tono, della mia sintassi.

Come nasce Il fantasma di piazza Statuto?

Tutti i miei libri nascono da una immagine iniziale intorno alla quale impernio e faccio proliferare la storia. Il Fantasma di piazza Statuto nasce da un dato biografico: abitavo in una casa vicino a piazza Statuto (nota per la sua polarità magica, secondo le leggende locali) e in quella casa c’era con una scala interna, di legno, che portava alla mansarda nella quale mi rifugiavo a scrivere. E quella scala cigolava, scricchiolava, e io la scendevo in piena notte… Da lì, da quegli scricchiolii acuti come urla, è nato tutto.

Annetta è l’anziana portinaia, come mai dare a lei il ruolo di detective?

Mi piace sempre affidare il punto di vista della narrazione a una figura laterale, dotata di una sorta di innocenza dello sguardo, per poter distendere ipotesi e osservazioni, riflessioni e congetture su un piano articolato. E poi sono convinto che il vero segreto, l’ingrediente che fa amare un libro, non sia la storia in sé, per quanto ben congegnata, ma il tono, la pasta sonora, per così dire, della voce narrante. E il tono, nella mia gerarchia dei valori letterari, è uno dei tasselli che definiscono lo stile. Il tono di voce di Annetta è, secondo me, il vero cuore di questo giallo. E infine, per rispondere alla tua domanda, il compito che in genere mi affido quando scrivo un giallo è quello di risalire i fatti fino all’origine del male. Ma il male, in questo senso, non corrisponde del tutto al dato giudiziario e alla sua componente penale. Il male, o meglio la sua origine, ha caratteristiche umane, ed è quindi sul piano umano che va indagato. I poliziotti e i commissari risolvono l’aspetto giudiziario, tecnico, ma per affrontare la tenebra umana occorre un diverso taglio, una più ampia portata, vale a dire la portata umana. Affidare a un commissario competenze sia investigative e sia per così dire filosofiche o etiche (compensate magari da deficit che lo umanizzano), mi sembra poco plausibile. Ecco perché i cosiddetti detective, nei miei gialli, non sono mai funzionari delle istituzioni, commissari e simili.

A chi ti sei ispirato per la creazione di Annetta?

Annetta è il risultato di un assemblaggio di donne anziane pescate nel parentado e di voci di donne torinesi ascoltate i mercati… Ho fatto molte inutili code, ai banchi della frutta o del pesce, per ascoltare le chiacchiere delle signore dai i capelli bianchi, con le gambe gonfie e le braccia cariche delle borse della spesa.

Tutto avviene in piazza Statuto come mai hai scelto questo posto così mistico e misterioso per l’ambientazione del romanzo?

Per le ragioni che ho detto… Primo, ho abitato da quelle parti; secondo, piazza Statuto ha quella sua nera fama, così suggestiva sul piano letterario. Certo la materia delle ‘evocazioni dei morti’ va trattata con molta delicatezza, per non cadere nella parodia e al tempo stesso tenendo conto del molto che è già stato scritto… Sul piano più direttamente topografico, invece è tutto più semplice: un giorno entrai al numero 10 di piazza Statuto per portare dei documenti in uno studio, e tutto di quel palazzo mi colpì, l’androne, le scale, l’ascensore vecchio stile, sicché decisi di ambientare lì la storia della mia scala cigolante.

Nella narrazione ci sono due adolescenti – Corrado e Marcello – che vivono in modo apatico e disinteressato il rapporto con il mondo reale, ma riversano tutto il loro brio – ammesso che lo abbiano – nel web. Cosa rappresenta questo atteggiamento?

I due ragazzi del romanzo non sono rappresentazioni o modelli generali, ma individui dotati di propria singola verosimiglianza. Ho conosciuto ragazzi che sono davvero così, figli di miei amici e di conoscenti, ragazzi irraggiungibili, imbozzolati in un loro cupo silenzio e capaci di sussulti di vitalità soltanto attraverso la comunicazione in rete. Non so che cosa pensino, ma so che li si percepisce così, e così li ho descritti.

Come hai costruito la figura di Piola, l’esperto d’occulto chiamato ad indagare da Annetta?

L’occultista Angelo Piola è un personaggio che ho messo insieme dopo avere esplorato (e non è stato facile) gli ambienti della Torino esoterica, dove si incontrano persone di quella fatta, appartate, silenziose e colte, ma indifferenti ai salotti mondani, alle mode e soprattutto ben attente a difendere la loro riservatezza. So che sembra impossibile che esistano persone così, in un mondo drogato dal presenzialismo e dal narcisismo, e invece Torino ne è piena.

Perché in un primo momento lui non crede alla logorroica protagonista?

Forse non ci crederai, ma le persone che si interessano alle faccende cosiddette occulte (e mi riferisco, per restare all’ambito di interessi del signor Piola, al mondo dei simboli) sono di solito più scettiche e riflessive della media, poco inclini a credere alle suggestioni, non soggette a stati di esaltazione, e mantengono uno spirito pragmatico e una visione laica del mondo. Date queste premesse, il signor Piola, proprio perché esperto di discipline occulte, non è disposto a credere a quelle che crede fantasie di una vecchietta impressionabile. Ma poi le cose precipitano…

L’accurato lavoro di messa in ordine dei documenti di Ettore Doro svolto in modo maniacale dalla sorella cosa rappresenta?

La borghesia torinese è schiva e appartata, non dà troppo valore alle cose effimere e alla gloria di un minuto, ma consolida le sue strutture e i suoi valori con scrupolo e con dedizione. E se in famiglia qualcuno si è distinto in qualche campo, la sua memoria viene custodita e trasmessa ai posteri con la massima cura, e senza enfasi. Anche il personaggio della signora Maria, sorella del pittore Ettore Doro, conserva i tratti pieni e verosimili di una specificità cittadina.

Ne Il fantasma di piazza Statuto ci sono sedute spiritiche, fantasmi, esoterismo e teosofia. Quale è il loro ruolo nel romanzo e il rapporto con la realtà di oggi?

Non ho ben chiaro che cosa si possa intendere con la formula ‘realtà di oggi’. La realtà mediatica? Le tendenze di massa? Gli stili di vita? Spesso ho la sensazione che la cosiddetta realtà di oggi (di qualunque oggi) sia un po’ come il mare, con un gran moto di onde e anche di burrasche, in superficie, tali da far credere a chissà quale movimento, mentre poco sotto tutto è placido, silenzioso, con mutamenti graduali, lenti. In quello strato profondo e duraturo, vi è spazio per quelle realtà che sono di lunga durata, sempre valide e di competenza umana, come appunto la ricerca intorno agli eventuali stati superiori dell’essere, la curiosità per il non conoscibile, la voglia di ‘saperne di più’, il desiderio di andare oltre nell’esperienza speculativa, alla maniera dell’Ulisse di Dante, per seguir virtute e conoscenza. Con le ricadute spicciole e un po’ ridicole, magari, delle sedute spiritiche.

Ettore Doro, pittore defunto, diventa il fulcro di un’attenzione ossessiva da parte di intellettuali, galleristi e giornalisti che  ronzano attorno alla sua casa e a Maria, sorella dell’artista. Perché sentono tutti questa attrazione fatale per la vita di Ettore proprio ora che è morto?

Ho voluto dare al Fantasma di piazza Statuto una tensione costante e disposta su più piani, la tensione di Annetta che non capisce ciò che sta accadendo e trema di terrore, espressa dalla sintassi e dal flusso ininterrotto della voce narrante; la tensione legata all’evocazione del morto, incanalata nella dilatazione del tempo narrativo legato alla seduta spiritica; la tensione collettiva di tutti gli attori della scena, espressa come una vibrazione di sottofondo costante e continua generata dalla frenesia degli intellettuali, certi di avere per le mani la grande occasione della vita, la rivalutazione post mortem del grande artista rimasto sconosciuto in vita. Sono cose che succedono, negli ambienti artistici, si vivono stati di folle sovreccitazione, ci si prende molto sul serio. E la cosa mi ha sempre fatto un po’ ridere… Intendo dire che mi sa sempre ridere chi si prende troppo sul serio…

Perché hai inserito un omicidio nella narrazione?

Per amore della tradizione gialla, che esige il morto. Ma sono anche dell’idea che il giallo possa girare anche intorno a vicende prive del morto, ma qui avevo bisogno di un fantasma, e quindi… Per parafrasare una vecchia formula, no morto, no fantasma

Annetta è una donna dalla cultura modesta, che – come afferma lei stessa – ha imparato moto da Piero Angela. Questa affermazione è la dimostrazione che la televisione è ancora in grado di dare contenuti sani ed utili?

L’idea di affidare le poche nozioni scientifiche di Annetta all’istruzione fornita dalla televisione, in particolare da Piero Angela, nasce più che altro per ragioni di utilità narrativa, per definire il perimetro culturale di Annetta in un ambito preciso, non intellettuale, a contrasto con l’ambiente in cui lavora. Ma so che molte persone come Annetta, vanno davvero pazze per Piero Angela, per il suo garbo, per la sua esposizione, e ho voluto darne traccia. E poi Piero Angela è di Torino, e tutto si tiene.

L’intera atmosfera è pervasa da un senso di oscurità e ombrosità perenne. Quanto essa si riflette nei personaggio della narrazione?

Quello è il tocco d’ambiente, di atmosfera. Ho voluto dare un ruolo importante alla notte, all’oscurità, al silenzio, renderli concreti e percettibili, per poter dare corpo alla mia idea di ‘giallo sonoro’, ovvero un giallo in cui l’indizio, il motore narrativo, non è di carattere visivo, ma sonoro, il fruscio, il cigolio, l’assenza del cigolio…

Tom Sanelli, il giornalista trasandato, è perso in modo completo nel suo lavoro. Quanto questo suo comportamento incide sul rapporto con il figlio Marcello?

Sanelli, nelle mie intenzioni, è un personaggio importante, centrale, del libro. Vive per l’arte, si appassiona in maniera viscerale al pensiero artistico. Ho conosciuto davvero persone così, molto intelligenti, molto sensibili, acute, capaci di fornire momenti di autentica rivelazione, in chi li ascolta. Persone che trasmettono energia intellettuale nel senso pieno, anche emotivo, della formula. Purtroppo, le persone di quel tipo non dovrebbero avere figli, secondo me.

La verità verrà a galla il 21 di giugno, quando si verifica il solstizio d’estate. Scelta voluta o casuale per la risoluzione delle questioni sospese?

No, non è casuale. Il solstizio d’estate ha una forte valenza simbolica, sul piano esoterico, il signor Piola lo sa e ci gioca. Ed essendo il giorno in cui trionfa la luce, mi sembrava divertente portare luce sulla storia in quell’occasione.

La luce del giorno nuovo oltre ad essere quella del sole che illumina la piazza, può essere vista come metafora di una pace ritrovata dai vari personaggi?

Sul piano narrativo, il ritorno della luce, nella scena finale, ha una valenza ritmica e risponde alla necessità di ritornare a una dimensione quotidiana. Ma quella luce illuminerà anche le macerie che il male ha prodotto…

Potrebbe sembrarti banale come domanda, ma perché i lettori dovrebbero leggere il tuo giallo?

Io scrivo con la lancetta orientata sul più alto grado di divertimento, e intendo con ciò il divertimento che scaturisce dalla progressione narrativa e dalla tensione emotiva, che mi cattura e mi tiene ancorato mentre scrivo; ma penso anche al divertimento (faticoso) che produce la stesura di una sintassi fluida, la ricerca dei dettagli lessicali e sensoriali, sui quali lavoro di lima con passione da cesellatore; e mi riferisco anche al divertimento che provo durante l’esplorazione di un mondo, delle persone, delle case, di un pezzo di società, con i suoi tic e le sue manie, ed è un divertimento analogo a quello della scoperta geografica, quando si va a vedere che cosa c’è oltre quello scoglio, oltre quel bosco… E dunque, se l’impegno messo per ottenere il mio divertimento è proporzionale al piacere di chi legge, il divertimento del lettore è assicurato.

Sei già al lavoro con un altro libro?

Sì, ogni anno, dal 2007, pubblico con i Fratelli Frilli editori, di Genova, un giallo comico che ha come protagonista un essere ridanciano e rozzo, sgangherato e ubriacone, che vive ai margini. Ed è già in fase di rifinitura quello che uscirà in autunno con il titolo La mummia della baia, ma qui non ci sarà nulla di esoterico, soltanto un mare di pasticci, una tragedia umana e tante risate. E intanto è in cantiere un lavoro che ha per protagonista… No, non lo dico, potrei morire incenerito…

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