:: Intervista ad Antonella Lattanzi, autrice di Devozione [Einaudi, 2010] a cura di Valentino G. Colapinto

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lattanziBenvenuta Antonella su “LiberidiScrivere” e grazie per aver accettato la nostra intervista. Come tradizione, iniziamo con le presentazioni. Sei nata a Bari nel 1979, ti sei laureata in Lettere Moderne e Contemporanee a Roma, dove tuttora risiedi e lavori come editor, traduttrice e lettrice dall’inglese. Vuoi aggiungere altro?
Beh, oddio, si potrebbero aggiungere mille cose o niente. Diciamo che leggo, e scrivo.
 
Devozione nasce dallo sviluppo di un racconto presente nella tua prima antologia “Col culo scomodo (non tutti i piercing riescono col buco)” [Coniglio Editore, 2004]. Vuoi raccontarci come e perché?
Quando ho deciso di scrivere dei racconti e raccoglierli in un'antologia, ho pensato a quale poteva essere il file rouge. È stato lui a trovarmi. Mi spiego: i racconti che avevo scritto erano tutti a proposito di figure femminili limite: donne, per un motivo o per un altro, deragliate. Tra questi racconti ce n'era uno su un'eroinomane.
Quando l'ho scritto, ho pensato che sarebbe stato il racconto meno interessante per i lettori: pensavo, infatti, che l'eroina fosse un tema distante dai lettori, che non interessasse a nessuno. Invece, quello è stato il racconto più amato. Tutti, tutti, quando citavano la raccolta citavano quel racconto.
Mi chiedevo perché, e non lo capivo. Poi, un'amica di mia sorella, Rachele, che non conoscevo e che non conosceva me, ha letto la raccolta e mi ha detto: «Il racconto che mi è piaciuto di più è quello sull'eroina.Perché, nonostante io non abbia mai usato nessun tipo di droghe, in quel racconto tu hai parlato delle mie dipendenze, mi ha svelato degli aspetti di me che non conoscevo.»
È allora che mi è scattato il campanello, o che mi è apparsa la lampadina di Archimede: se volevo raccontare l'eroina, potevo farlo. Ma dovevo farlo come metafora di tutta un'altra serie di dipendenze. Perché l'eroina non è altro che la dipendenza per antonomasia. Del resto, non ho mai voluto scrivere un romanzo sull'eroina, che parlasse solo di e a un certo tipo di persone. Ho sempre voluto scrivere romanzi, e racconti, che parlassero anche di te.
 
Se potessi scegliere tra essere étoile all'Opéra o venire acclamata come la più grande scrittrice italiana vivente, cosa sceglieresti? E secondo te ci sono dei parallelismi tra le due grandi passioni: la danza e la scrittura?
Sai, nessuna delle due. Voglio dire, è normale che tra la danza e la scrittura ho scelto e sceglierei mille volte la scrittura. Perché davvero la sento come una vocazione, come l'unica cosa che può rendermi felice quando mi manca tutto il resto. È stata la scrittura, la lettura, la matrice di tutte le mie scelte, tutti i miei sforzi.
Quello che voglio, però, non è essere acclamata come la più grande scrittrice italiana vivente, ma meritarmi questo nome: scrittrice, scrittore. Ogni giorno, con la fatica, col sudore (del resto, lo diceva anche Fame: Voi fate sogni ambiziosi, successo, fama, ma queste cose costano, ed è esattamente qui che si comincia a pagare: col sudore). Con l'impegno a leggere, studiare, scrivere: ogni giorno, di più.
Poi certo, non solo ci sono dei parallelismi tra la scrittura e la danza, ma credo siano la stessa cosa: due passioni totalizzanti che ti richiedono la maggior parte della tua vita, due passioni che richiedono sforzi enormi, sforzi che, però, il lettore/pubblico non deve vedere: si dovrebbe riuscire a compiere i passi più difficili e dolorosi col sorriso sulle labbra, sembrando leggerissimi, volanti.
 
C’è qualcuno che ti ha particolarmente aiutato anche solo con consigli e incoraggiamenti all’inizio della tua carriera che vuoi ringraziare?
Domenico Starnone, certamente. È lui che mi ha fatto scoprire qual era la mia scrittura. Prima di conoscerlo – e prima, soprattutto, di diventare sua alunna – la mia scrittura era molto, molto più ingenua, più privata, più immatura. Dopo, non so come spiegare: grazie a lui ho avuto una sorta di rivelazione: ho capito come volevo scrivere. Da allora, Starnone non ha smesso mai di insegnarmi, di spronarmi, di rendermi una scrittrice – e una persona – migliore.
 
Per scrivere Devozione ti sei eroicamente finta una tossicodipendente per quasi cinque anni, al fine di documentarti il più possibile. Sei mai stata scoperta? Qualcuno degli eroinomani che hai conosciuto ha letto il tuo romanzo? E cosa ne pensa?
Questo non lo so. Penso di sì, è impossibile che qualcuna delle persone con cui mi sono finta tossicodipendente non abbia scoperto che ho scritto un libro. Sinceramente, un po' temo il momento in cui ci sarà un confronto tra me e questa persona.
 
I personaggi e le vicende del romanzo sono ispirati dalla realtà o sono completamente inventati?
Tutti e due. Cioè: la storia è inventata, le vicende pure. Ma si tratta di un romanzo su una cosa assolutamente reale, purtroppo, come l'eroina.
I cinque anni che ho passato nella ricerca, nello studio dell'eroina fanno ormai parte della mia vita. E la mia vita è tutta in questo romanzo: non come autobiografia – anzi, come autobiografia per niente – ma come sangue, come impegno, come “darsi”.
 
Ci racconti un aneddoto sul tuo lunghissimo lavoro di ricerca? I tuoi genitori e amici hanno mai sospettato che fossi diventata davvero una tossica, hai avuto problemi con le forze dell’ordine oppure non hai temuto di cadere tu stessa vittima della seduzione dell’eroina?
Gli stupefacenti, i deragliamenti seducono sempre. O almeno: seducono me. Sono sempre stata sedotta da tutto quello che era autodistruzione. La passione però, secondo me, fa questo: in qualche modo, ti protegge dal te stesso autodistruttivo (oppure lo alimenta, non lo so).
Gli episodi sono tantissimi: a Napoli, per esempio, al ritorno da Secondigliano mi ha fermato la polizia. Credeva davvero che fossi un'eroinomane. E, a San Lorenzo, una volta: poco mancava che dei ragazzi mi picchiassero,perché pensavano, ancora una volta, che fossi un'eroinomane. Ce ne sono mille di aneddoti così. Ma ne è valsa la pena. Rifarei tutto daccapo.

Qual è stato il commento di un lettore al tuo libro che ti ha fatto più piacere?
Leggendo Devozione ho scoperto molte co
se su di me, sulle mie dipendenze, sulla mia vita.

 
La protagonista di Devozione, Nikita, diventa eroinomane grazie alla fascinazione per libri come “Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino” o film come “Amore Tossico”, che – nell’intento degli autori – avevano ben più nobili fini, ossia mostrare la realtà più orribile di quella droga. Non hai mai avuto paura che anche Devozione potesse subire una simile eterogenesi dei fini e spingere qualche lettore particolarmente sensibile a provare l’eroina?
No, aspetta. Nikita non diventa eroinomane grazie alla fascinazione per i libri. È proprio questo che tento di spiegare nel libro: non c'è una sola causa per essere eroinomane. Nikita se lo chiede spesso: dov'è cominciato tutto? Di chi è la colpa? Una colpa, una sola, non c'è. Non sono i libri che ti portano alla droga, e nemmeno le cattive compagnie. Non ci sono scuse, né traumi che tengano: se diventi eroinomane, all'eroina ti ci porti tu.
 
Puoi raccontarci una tua giornata tipo? Quanto tempo dedichi alla lettura e quanto alla scrittura? Qual è il tuo metodo di lavoro?
Mi sveglio verso le 8 – a volte più tardi, le 9, le 9 e mezza, a volte, pochissime, prima – e mentre faccio colazione leggo. Mi piace da morire. È uno dei momenti della giornata che mi piace di più. Poi mi metto al computer, e leggo, scrivo, studio, lavoro, fino a sera. A volte smetto prima, o interrompo, se ho qualche impegno. Il più possibile la sera esco, se no divento claustrofobica. A volte non smetto finché non vado a dormire.
 
Scrittori si nasce o si diventa? E ritieni che siano utili i corsi di scrittura creativa adesso molto in voga?
Non so. Si nasce, forse, con la passione per la lettura e per la scrittura, per il racconto. Però non lo so, davvero. Di certo, scrittori non si è mai, per tutta la vita. Non c'è un momento in cui puoi dire: ecco, sono arrivata, sono una scrittrice, sono uno scrittore. Ogni nuova riga che scrivi è una nuova battaglia, una nuova sfida. Di certo, non è l'ispirazione, non è la magia: è l'impegno, la fatica, la dedizione, e la sincerità.
 
Come trovi l’ambiente letterario e culturale di Roma? E quello di Bari?
Quando si è scrittori sinceramente, si è delle belle persone. Quando invece si è scrittori falsi, non lo si è. A Roma, a Bari, dappertutto.
 
Cinque libri che porteresti su un’isola deserta?
Ti posso dire cinque autori, forse. Fenoglio, Bulgakov, Tolstoj, Kafka, Szabò, Cechov, Roth, Pavese, Dostoevskij… E ce ne sarebbero troppi altri.
 
Grazie mille Antonella per esserti sottoposta con infinita pazienza al nostro interrogatorio. Alla prossima!
 
 
Valentino G. Colapinto

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