:: Intervista a David Riva

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cover-opera-seiBenvenuto David su Liberidiscrivere. Iniziamo con le presentazioni. Descriviti ai nostri lettori. Raccontaci alcuni tuoi pregi e alcuni tuoi difetti.

Grazie per il vostro cortese invito! Sono nato nel 1972, abito in Alta Brianza con mia moglie e i miei due figli, e mi interesso di molte cose oltre alla letteratura: canto musica classica e contemporanea in diverse formazioni corali, suono organo e pianoforte, adoro le escursioni all’aria aperta soprattutto con la bici da corsa e il trekking. Pregi e difetti? Non divido le categorie e lascio scegliere a voi dove collocare queste istanze: sono un curiosone vorace e disordinato, non inizio mai una cosa che so di non poter finire, sono determinato, distratto, estenuante nella dialettica, preciso fino alla leziosità, sobrio ma brioso, e non smetto mai di cercare. Cercare cosa?, direte voi. Ecco, quando lo trovo di solito non ne faccio mistero, e lo racconto. Un difetto evidente, invece, è che peso troppo poco per essere un buon passista: mi esprimo molto meglio in salita. 

Parliamo del tuo debutto. Hai fatto fatica a trovare il tuo primo editore?

Il percorso per me non avrebbe potuto essere più lineare, sebbene frutto di moltissimo lavoro. Dopo diversi anni di attività concorsistica, con numerosi piazzamenti e vittorie, ho partecipato all’iniziativa indetta da Edizioni XII che ha portato alla bellissima antologia intitolata “Archetipi”. Il mio racconto vinse e si aggiudicò la pubblicazione. In seguito a ciò, la stessa Redazione mi chiese se avessi qualche lavoro da sottoporre alla loro attenzione: così presentai “Opera sei”, che piacque e venne inserito nel piano editoriale.Credo che la fatica vera non risieda tanto nel trovare un editore disposto a pubblicare il tuo lavoro, quanto nel creare un lavoro di qualità: solo a seguito di ciò si può sperare di pubblicare. Questo, almeno, è ciò che penso.

C’è qualcuno che ti ha particolarmente aiutato all’inizio della tua carriera che vuoi ringraziare?

C’è stata una fase di passaggio abbastanza netta, nella mia esperienza letteraria: corrisponde al momento in cui ho iniziato a condividere i miei scritti con altri autori, via web o tramite iniziative culturali. Ho scoperto che nessuno ruba le idee, anzi: rivelare il tuo percorso ti aiuta in modo preziosissimo a guardare là dove non avresti mai pensato. Così vorrei in questa sede ringraziare tutti coloro che mi hanno permesso di crescere, tramite la condivisione e il confronto (a volte anche serrato) e se anche non ne faccio i nomi mi perdoneranno, perché sono davvero tanti. Inoltre una esperienza come quella che avviene in seno all’Associazione Culturale XII, attraverso il suo portale web e il suo forum, la auguro a chiunque voglia intraprendere questo lavoro, durissimo e difficile. E credo che Daniele Bonfanti, Luigi Acerbi e Strumm siano coloro che più di ogni altro potrei citare come miei mentori e come acutissimi professionisti della parola e del pensiero. 

Parliamo del tuo romanzo d’esordio Opera Sei. Difficilmente confinabile in un genere preciso, un po’ fantascienza, un po’ horror, un po’ thriller, un po’ noir. Hai preso il meglio di tutti i generi e ti sei tenuto lontano dalle etichette più ovvie. Il tuo stile è tutto contaminazioni e riflessioni su temi anche profondi. Come definiresti Opera sei?

“Opera sei” è un’opera di confini. Ci sono territori vastissimi che si aprono nel campo dell’indecidibile (bello/brutto, vero/falso, normale/anormale, Arte/non-Arte, ecc…) e io amo navigarci. Le categorie sono costruite a posteriori – e sono spesso utilissime, per carità – perché sono diversi i modi con cui ognuno di noi percepisce il mondo e le sue storie. Così posso inserire in 200 pagine eventi che dispiegano le vele su temi come la ricerca di se stessi, la commercializzazione dell’Arte, la morte dell’estetica, la questione di ciò che è Arte e di ciò che non lo è. La complessità emerge solo se tentiamo di far entrare “Opera sei” dentro un contenitore; altrimenti ha una identità sua propria, che per ognuno assume un riflesso, una sfumatura, un peso differente. Su queste tematiche sono i confini a essere insieme labili e immensi, soggettivi e universali.Tutto il romanzo parla del superamento di confini, di ciò che ogni giorno facciamo per andare al di là del Tollerabile e del Possibile, per annettere altri brani di verità e permetterci lo stupore, di fronte a esclamazioni come: “Non accadrà MAI!”, per essere subito contraddetti dalla realtà.Inoltre, nessun artista ha mai espresso forme d’Arte di tale portata: questo certo concorre a dare al romanzo un accento di originalità non indifferente.

foto-riva-1L’associazione internazionale che sponsorizza le opere tragiche e nello stesso tempo sublimi di Hao Myung si chiama Metafisica. Un caso o c’è un discorso più complesso alle spalle. Opera sei è un’opera metafisica?

Non è  un caso.Il nome è  nato quando già componevo la struttura del romanzo (era il working-title, tra l’altro) e ho compreso entrambi i motivi etimologici della metafisica, in senso filosofico. Il significato è inteso come “ente che è oltre la fisica”, come superamento di confini fisici, fisiologici, etici, estetici: Hao Myung opera andando al di là di quelli che sono i termini normalmente accettati dall’etica medica e artistica, ma agisce su soggetti che vogliono giungere alla piena realizzazione di sé, oltre le regole imposte loro dalla natura che li ha fatti a loro dire imperfetti. Questo rende il suo lavoro non solo artisticamente valido, ma anche necessario per le sue opere, dal punto di vista esistenziale.Inoltre l’associazione Metafisica opera al di là della legalità e del controllo istituzionale.

La moralità  e la bellezza sono componenti antitetiche nell’arte? Pensi che l’arte sia essenzialmente immorale, o meglio amorale?

L’arte ha accompagnato la storia dell’umanità: inevitabile che abbia subito variazioni nelle sue funzioni. In passato l’arte era uno strumento moralizzatore (pensiamo all’arte classica religiosa, una delle cui funzioni era creare timor panico e raccontare gli aneddoti biblici inaccessibili agli analfabeti), oggi non credo sia più così, anzi. L’arte contemporanea, in molte delle sue espressioni, ha lavorato per rompere il concetto di morale pubblica e privata, per distruggere iconografie e imposizioni etiche, per ribaltare il concetto stesso di moralità.Vige ai giorni nostri una tale confusione di limiti e espressioni, poi, che è difficile rendere organico un discorso stretto sulla morale: di conseguenza anche l’arte ne risente, e si aggrappa sempre più a altri canoni, a altri riferimenti, per sopravvivere dentro altre forme e altre funzioni. Per fortuna.
L’orrore come nasce? Quali componenti caratterizzano il fascino e nello stesso tempo il senso di repulsione che alcune opere d’arte o eventi della natura creano? Per esempio anche solo l’eruzione di un vulcano. L’uomo è attratto dal  terrore e dalla paura?

L’orrore nasce da ciò che ci è sconosciuto, che sfugge al nostro controllo e alla nostra comprensione diretta (sono esempi la Natura nelle sue espressioni violente, e l’Oltrenatura perché sconosciuta e non catalogabile con certezza, scientifica o spirituale).Vi farei un esempio.Immaginate di trovarvi in una stanza, dalle finestre non filtra alcuna luce. Siete soli, dalla porta chiusa iniziano a giungere rumori indistinguibili, insistenti, sempre più ravvicinati. Ora qualcosa si appoggia alla porta e spinge, la scuote facendola scricchiolare.Già a questo punto, la nostra mente si è attivata (grazie a chissà  quali meccanismi ancestrali) per cercare una risposta alla domanda: “Cosa c’è oltre la porta?”. Attenzione: questo è un meccanismo di difesa!Le nostre stesse ipotesi mettono in moto l’ansia e la tensione, che annebbiano il raziocinio e lasciano che entri in noi la suggestione. Il passo verso la paura è brevissimo. (Per la cronaca: qualcuno di voi potrebbe aver pensato che, dietro la porta, ci fosse una presenza benigna. Ma, una volta che il battente è stato aperto, ecco, avete visto i suoi occhi? Ora è dietro di essi che potreste scorgere qualcosa di sconosciuto… E in questo modo, beh, la paura non tarderà a affacciarsi, ancora e ancora. Infine, una considerazione: c’è chi è attratto dal terrore, e chi invece non ne sopporta i meccanismi, in questo credo che ognuno abbia una propria modalità di relazione. C’è chi non guarderebbe mai un film horror, c’è chi ne ride, chi ne è indifferente, ecc… ).

Raccontaci la genesi di Opera sei. Quanto tempo ci hai messo a scriverlo? Dove hai trovato ispirazione? Ha un intento morale di monito e di avvertimento o è puro intrattenimento?

Come mi accade, se ho una storia la racconto, altrimenti lascio stare. “Opera sei” è un’idea che necessitava di uno spazio ampio per poter essere spiegata a dovere: ho impiegato un’estate in ricerche, mentre la stesura vera e propria è avvenuta nell’arco di circa quattro-cinque mesi. L’ispirazione mi è sorta dalla domanda: cosa accadrebbe se? – e se ci si riflette, è la molla che scatena quasi tutte le ispirazioni.Nel mio caso, sono partito da considerazioni sulla validità di alcune forme d’arte contemporanea, dal gusto per i confini da oltrepassare, da una giovane e bellissima donna che voleva mostrare a tutti com’era fatta dentro.“Opera sei” non vuole essere puro intrattenimento, anche se potrebbe, perché no. Ma chi ci vede altro, e a quanto pare sono molti per fortuna, riconosce contenuti che innescano curiosità, e che soprattutto fanno sorgere domande, sul mondo, su se stessi. Questi sono i libri che più mi piace leggere. E scrivere. 

Che consigli daresti ai giovani scrittori in cerca di editore? Si può vivere al giorno d’oggi solo di letteratura?

Scrivere è  un lavoro, una professione faticosa e complicata, fatta di lungo studio e preparazione. Oggi si può vivere di letteratura solo se si è capaci di diversificare: collaborazioni, pubbliche relazioni, abilità nel trovare spazio d’espressione. C’è chi è bravo a farlo, c’è chi riceve, come dire… aiuto e sostegno esterni, chi ha la fortuna di capitare nel posto giusto al momento giusto.Rimango dell’idea che bisogna sempre vedere con onestà interiore le motivazioni che spingono a scrivere. Trovare un proprio stile – una forma narrativa sempre migliore, distintiva e valida – lasciare che le idee abbiano una vita dignitosa (piccole idee non possono diventare romanzi, grandi idee non possono stare dentro poche righe), condividere e confrontarsi con altri che percorrono tratti di strada simile, ricercare una forma e una individualità letteraria ben definite. Questo permette che la pubblicazione diventi un approdo coerente con il proprio lavoro, e non una estemporanea risorsa, un accidente, un’operazione commerciale, come spesso accade nell’editoria italiana.

 Ci sono scrittori esordienti che ti hanno particolarmente colpito?

Tre nomi su tutti, anche se non proprio esordienti in senso stretto: Samuel Marolla, Riccardo Coltri e Strumm. Teneteli d’occhio, scrivono con consapevolezze e stili diversi, ma sono capaci di regalare brividi per come sanno manipolare la parola, ognuno in modo peculiare e straordinariamente efficace. Bravissimi davvero. 

Quali sono i tuoi scrittori preferiti?

Dipende da cosa devo leggere e dallo stato d’animo in cui mi trovo. In generale non sono un grande appassionato di narrativa contemporanea; trovo negli autori classici brani da strappare urla interiori di acclamazione (e qui potrebbero essere Hugo, Shakespeare, Levi, ma mi capita di trovare emozioni in Omero, Ovidio e altre anticaglie). Come dicevo sono disordinato, anche nella lettura: certa saggistica per esempio è ricchissima di spunti. E la contaminazione di stilemi, contenuti e nozioni che riverso nei miei scritti vengono proprio da questa distanza che tengo da autori o temi specifici e ristretti, non per boria ma per naturale deferenza: si possono prendere magistrali lezioni di letteratura in ogni testo, se si è disponibili a imparare. E io cerco di imparare da tutti.

Ti piace partecipare alle presentazioni dei tuoi libri? Raccontaci un aneddoto curioso di uno di questi incontri.

Certo, mi piace e mi dà la possibilità di avere incredibili riscontri, e inoltre è un mirabile strumento per conoscere meglio il mio lavoro. Poi, di norma, ho sempre un sacco di cose da dire e da raccontare. Un aneddoto? L’ultima volta, a metà della conferenza che precede la presentazione, si è rotto il proiettore. Questo contrattempo ha creato un ambiente meno formale – c’era un tecnico che ogni tanto cercava di farlo ripartire, invano – così si è aperto un canale di dialogo con il pubblico che, anche al termine della serata, si è fermato con noi relatori per approfondire alcuni temi e proporci domande e riflessioni personali: un inaspettato e piacevolissimo momento di condivisione.

Che rapporto hai con i tuoi lettori? Vi scambiate mails, lettere, molti sono diventati amici?

Sono molto lusingato dai riscontri positivi che “Opera sei” raccoglie. E a volte sono sorprendenti i particolari che emergono dalle letture più disparate: rimango affascinato dalla potenza di alcune tematiche, davvero universali, e dall’attenzione che i Lettori mettono nel cogliere ognuno un dettaglio diverso. Sono immensamente grato in ogni occasione a chi coglie una sua visione del romanzo – e del resto del mio lavoro letterario – riportandomela: ricevere mail, apprezzamenti, commenti positivi (e critiche assennate) da parte di persone con formazione e provenienze diverse, è la vera ricompensa, è ciò che mi rende maggiormente soddisfatto per ciò che faccio in questo ambito. A costo di sembrare retorico, ma in tutta onestà è chi legge che fa esistere (e crescere) ciò che viene scritto.

C’è una recensione che ti ha particolarmente fatto piacere?

Fin dall’inizio del mio approdo sul web c’è stato un soggetto, sì, del quale ho sempre avuto rispetto e ammirazione, per la sua competente capacità di valutazione, per la sua trasparenza schietta, per l’attenzione che ha nei confronti della parola. E poi adoro il suo modo di raccontare.Gelostellato possiede l’istinto di chi vede nella letteratura una possibilità didattica, non per imparare cose, ma per imparare vita. Per questo è esigente e per questo lo ascolto e gli do credito: concordo con la sua visione della letteratura come mezzo per scoprire il mondo e, magari, per conoscere di più se stessi. Lui ha scritto queste cose su “Opera sei”: http://gelostellato.blogspot.com/2010/06/opera-sei-di-david-riva.html Leggete, divertitevi, pensateci, e ditemi se non vi farebbe piacere, un giorno, che qualcuno scrivesse così di un vostro romanzo.

A che libro stai lavorando in questo momento? Puoi anticiparci qualcosa?

In questo periodo sto ultimando la stesura di un romanzo scritto a quattro mani con Daniele Bonfanti: posso dire che si tratta un’opera ambiziosa, nella quale si incrociano esoterismo, spionaggio, alchimia, paranormale, fanta-archeologia… Ci saranno molta azione, molte esplosioni, moltissime occasioni per riflettere sulla struttura della realtà e sulle nostre paure collettive più devastanti. Sono molto soddisfatto, è la mia prima esperienza in un lavoro di tale portata e con una collaborazione così stretta: l’affinità narrativa con Daniele è sorprendente, e poi sono accaduti strani eventi attorno a questo manoscritto, si muovono forze… Beh, dài, non posso mica svelare tutto!Intanto ho iniziato la raccolta di materiale attorno a un’idea. Anche questa volta salpo verso un confine (vita/morte, o meglio esistenza/non-esistenza), ci navigherò attraverso, e può darsi ne venga fuori una storia vera. Che potrebbe esserlo, via.Non vedo l’ora che si alzi il vento e al mio ritorno, prometto, vi racconterò tutto ciò che ho visto.

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